Non ho mai lesinato ottimismo nei miei post, ma permettetemi, questa settimana, un filo di malumore. Perché, da osservatore interessato del processo di riforma del Credito Cooperativo, come sono interessati tutti i 37mila lavoratori delle BCC italiane, sto assistendo a uno spettacolo deludente. Deludente rispetto alle aspettative che io avevo due anni fa su questa riforma.
E allora vorrei poter fare qualche domanda a chi, fra pochi giorni, deciderà il futuro: perché disperdere il vantaggio competitivo che il lavoro quotidiano di oltre 4mila sportelli in tutta Italia ha garantito al Credito Cooperativo in anni difficilissimi come quelli che ci stiamo lasciando alle spalle?
Di più, sull’autoriforma, perché non abbiamo subito un diktat dal Governo, ma abbiamo avuto, caso forse unico nella storia d’Italia, la possibilità di proporre come prefigurare l’assetto futuro del nostro movimento. Date queste premesse e gli indirizzi guida per la riforma (l’integrazione, il rafforzamento patrimoniale, il mantenimento -a livello di base- della cooperazione mutualistica) non nascondo che il mio naturale ottimismo aveva trovato elementi oggettivi per alimentarsi. Poi, quando la nostra proposta di autoriforma, nella sua sostanza, è diventata legge qualcosa si è rotto o, forse, quello che covava sotto la brace è venuto alla luce. I pochi che di cooperativo avevano ormai poco o nulla hanno scelto la way out, ma per la stragrande maggioranza delle BCC rimaste nell’alveo del mondo cooperativo, con la strada ormai spianata, le cose non hanno preso la piega sperata. Lo dico -ripeto- nel ruolo di direttore di banca, quindi a capo di una tra le oltre 300 strutture che costituiscono il Credito Cooperativo, lo dico pensando a chi decide e che, il 20 dicembre, dovrà dire la parola ultima sull’assetto futuro di questo mondo. Lo dico perché –voglio restare ottimista– ma i bookmaker danno nettamente favorita l’ipotesi dei due gruppi rispetto a quella iniziale del Gruppo Unico del Credito Cooperativo. E allora vorrei poter fare qualche domanda a chi, fra pochi giorni, deciderà il futuro: perché disperdere il vantaggio competitivo che il lavoro quotidiano di oltre 4mila sportelli in tutta Italia ha garantito al Credito Cooperativo in anni difficilissimi come quelli che ci stiamo lasciando alle spalle. Ed è un lavoro portato avanti, nella stragrande maggioranza dei casi (purtroppo in ogni ambito le mele marce non cambiano) con grande coerenza rispetto ai principi del nostro movimento. Un lavoro che paga, risultati alla mano (7,2% degli impieghi in Italia e il 7,4% della raccolta) perché alle parole –il celeberrimo claim “la mia banca è differente” – sono seguiti veramente i fatti.
“La coerenza comprende l’onesta , ma va oltre. Onestà è dire la verità: in altre parole conformare le nostre parole alla realtà. Coerenza è conformare la realtà alle nostre parole: in altri termini mantenere le promesse e soddisfare le aspettative”. Covey
Ebbene mi piacerebbe che questa coerenza trovasse spazio anche nelle decisioni che saranno assunte il 20 dicembre, ricordando le premesse di due anni fa, la levata di scudi del mondo cooperativo di fronte ad alcune dichiarazioni del premier a fine 2015 e alla prima formulazione della legge del febbraio di quest’anno. Ebbene, allora le parole facevano presagire altro: dove sono finiti quegli intenti? E se c’è scollatura fra parole e azioni in chi decide, dove va a finire la fiducia di chi lavora nelle banche che loro amministrano? Se non c’è coerenza non può esserci fiducia. Voglio tornare a scomodare un maestro come Covey, che scriveva: “La coerenza comprende l’onesta , ma va oltre. Onestà è dire la verità: in altre parole conformare le nostre parole alla realtà. Coerenza è conformare la realtà alle nostre parole: in altri termini mantenere le promesse e soddisfare le aspettative”. Non deludeteci il 20 dicembre.