Strani giorniSe l’Italia che dice Sì regala il 60% dell’elettorato a Grillo e Salvini

Chi si illudeva che il voto del 4 dicembre avrebbe spazzato via tutte le polemiche della feroce campagna referendaria si sta già ricredendo al cospetto delle reazioni di chi ha sostenuto il Sì. Rip...

Chi si illudeva che il voto del 4 dicembre avrebbe spazzato via tutte le polemiche della feroce campagna referendaria si sta già ricredendo al cospetto delle reazioni di chi ha sostenuto il Sì. Riporto solo due tweet. Scrive Laura Puppato: «In effetti a pensarci bene, c’è stata la fuga dei cervelli all’estero. Sarà per quello che solo all’estero ha vinto il Sì». Segue Chicco Testa: «Il si’ fa il risultato migliore a Milano, Bologna , Firenza e il peggiore a Napoli, Bari, Cagliari. C’ e’ altro da aggiungere ?» (scritto proprio così). Evidentemente per costoro, tra un refuso e l’altro, è ancora viva l’idea di una superiorità culturale e geografica che tanto si contestava sia alla vecchia sinistra al caviale, sia alla Lega di ieri e di oggi. “Solo un imbecille o un poveraccio avrebbe potuto votare No”, insomma. Poi si chiedono come mai perdono.

Nel dibattito post referendario mi sembra di cogliere, altresì, tre sfere argomentative riassumibili in altrettante frasi. La prima: “Non era un voto su Renzi, ma sulla riforma” poi divenuto “era un voto su Renzi, come avete fatto a non capirlo?” e seguito da lamentazioni sui disastri che tutto questo si porterà via con sé. Ma facciamo chiarezza: quel voto, in buona sintesi, era o non era un voto politico? Se lo era, amici e amiche del Sì, e lo sapevate da tanto tempo – come adesso ci fate notare sperando di far nascere sensi di colpa – perché fino al 2 dicembre ci avete detto l’esatto opposto? Così, per sapere.

La seconda frase, che si evince tra le schiere del Sì, è la seguente: “E ora alleatevi con Salvini e fateci il governo”. Ignora, chi produce questo tipo di semplificazione, la sostanziale differenza tra referendum e elezioni politiche, da una parte, e tra elettore/trice e parlamentare dall’altra. Eppure una cosa è un referendum (dove si accetta o si rigetta una proposta), un’altra le elezioni (in cui decidi di votare un programma e un partito per il governo del paese). Dire che ora devono governare “quelli del No”, quando in parlamento il Pd ha la maggioranza assoluta alla Camera è quella relativa in Senato, ha lo stesso valore di frasi quali “Renzi non è stato eletto da nessuno” che tanto facevano scandalizzare chi oggi si avventura a dare mandati governativi all’elettorato tutto.

La terza e ultima frase riguarda il tema dei diritti civili: “E ora addio matrimonio egualitario, adozioni e legge contro l’omofobia”, leggo qua e là, tra atroci amarezze. Ma anche qui, mi pare, la confusione regna sovrana. Innanzi tutto, mi dovrebbero spiegare i più strenui sostenitori delle unioni civili perché mai è divenuto urgente intervenire su questo frangente, e proprio a partire dal 5 dicembre, quando per mesi ci hanno raccontato che con l’ex ddl Cirinnà si era ottenuta praticamente ogni cosa, stepchild adoption inclusa. La legge contro l’omofobia, faccio ancora notare, è ferma in Senato dai tempi di Letta e non mi pare sia mai stata un’urgenza del governo dimissionario. Forse si sta agitando, ancora una volta, la questione per portare acqua al mulino della propria casa politica? Perché non è bello, ecco…

Per quello che mi riguarda, sulla scheda del referendum ho trovato un quesito sulla riforma e quella io ho votato per altro leggendola, mesi e mesi prima, e informandomi nelle settimane a seguire. Dare a chiunque abbia votato No una responsabilità politica sui destini della nazione è improprio, se non disonesto. E se adesso c’è incertezza politica, vorrei far notare che l’errore lo ha fatto chi ha voluto legare il referendum alla sua sopravvivenza politica. Inoltre, venendo a un certo ragionamento, se questo voto è solo politico, ci si dovrebbe chiedere se quei milioni di No non siano andati a chi si è proposto come nuovo sulla scena politica e poi ci ha messo di fronte alle fritturine di pesce di De Luca, clientenle incluse. Se non ci troviamo, in altre parole, a milioni di No di fronte a un jobs act che precarizza il lavoro, alla politica dei vaucher, a una narrazione che racconta un altro paese rispetto a quello reale, a una “buona scuola” che ha umiliato migliaia di insegnanti – tra trasferimenti forzati e dequalificazione della professione – per 1200 euro al mese e parecchi insulti (Rondolino docet). A tutto questo, era forse obbligatorio dire sì? E in virtù di cosa?

Sembra insomma che si stia rifacendo l’errore che ieri, a Otto e mezzo, Massimo Cacciari rimproverava a Matteo Richetti: non si è sentita una parola di autocritica per quanto fatto sino ad adesso dentro il Pd negli ultimi tre anni. Errore a cui, per quello che mi riguarda, ne aggiungo un altro: aver detto per mesi “voti come la Lega e i fascisti” porta oggi Salvini e i fascisti a intestarsi la vittoria. Forse non è stata una strategia tra le più accorte. E regalare quel 60% di No all’alleanza Grillo-Salvini-Berlusconi, facendo dell’elettorato un unico calderone di idioti o di ingrati, è lo stesso identico errore a mio modesto parere. Ripartirei da qui. Con una vigorosa marcia indietro.