Strani giorniIl sostrato di sinistra del M5S può creare identità politica nel MoVimento?

Edoardo Conti era una staffetta partigiana. Uno di quegli eroi, nel senso più vero del termine: una persona disposta al sacrificio per un bene collettivo e superiore. Conti aveva il compito di mett...

Edoardo Conti era una staffetta partigiana. Uno di quegli eroi, nel senso più vero del termine: una persona disposta al sacrificio per un bene collettivo e superiore. Conti aveva il compito di mettere in collegamento le varie brigate e garantire i contatti tra i membri della Resistenza e le loro famiglie. Senza il loro prezioso contributo, la lotta contro il nazifascismo sarebbe stata più difficile. Le sceglievano, le staffette, tra i ragazzi e le ragazze fra i sedici e i diciotto anni. Destavano meno sospetto ed era più difficile che venissero controllati. Una storia poco conosciuta ai più, narrata con fierezza da Mariano Gennari. Nipote di Primo Gennari, anche lui nella “lotta clandestina” contro i tedeschi e “maestro” politico di Conti.

Cinquantaquattro anni, di Cattolica, sposato, due figli e già responsabile commerciale e marketing di una importante azienda vitivinicola italiana, Mariano è figlio di quella cultura partigiana, egualitaria e genuinamente democratica. Mi ha parlato della figura del nonno – da cui ha ereditato la passione politica – a Valencia, a febbraio dell’anno scorso, al compleanno della cognata Barbara. «E cosa pensi del voltafaccia dei grillini sulle unioni civili?» gli chiede lei, a bruciapelo, durante la cena. La ferita del dietrofront al Senato bruciava ancora. Mariano non si scompone: «Un grosso errore, sempre detto. E tu cosa ne pensi del fatto che Renzi ha ridotto i diritti dei lavoratori?». Caratteri forti a confronto su opposte visioni politiche. Perché Mariano Gennari non è solo il nipote di un partigiano, la cui cultura politica nasce nel vecchio PCI. È anche il sindaco per il MoVimento 5 Stelle nella sua città. Un binomio non del tutto inedito ma che incuriosisce. E non poco.

Viviamo in un presente in cui le parole e le cose perdono i loro significati più profondi e si confondono con le mistificazioni del linguaggio politico, ridotto a rissa tra tifoserie. Il dibattito sul referendum del 4 dicembre lo ha ampiamente dimostrato. In questo capovolgimento generale – c’è da chiedersi – rientra anche il fenomeno, sempre più diffuso, di persone che provengono dal più grande partito di Sinistra che l’Italia abbia mai avuto e che oggi si riconoscono in un movimento molto spesso tacciato di populismo e demagogia? La figura di Mariano, in tal senso, colpisce da subito. «Sono nel MoVimento prima di tutto per la questione morale. In secondo luogo perché il vecchio PCI era idealista, teneva agli ultimi». Queste le sue parole, la primavera passata, ad un pranzo con la sua famiglia in campagna elettorale, sul perché della sua presenza proprio tra i 5S.

Questione morale – oggi contestata al MoVimento dai suoi rivali, Pd in testa – che fa parte della sua stessa memoria storica. Il nonno Primo, infatti, dopo la fine della guerra divenne un politico, come spesso accadeva ai membri della Resistenza. Fu in giunta comunale, a Cattolica, per due volte. La prima, creata dal CNL, nel dopoguerra. La seconda votata dopo la nascita della Repubblica. Poi qualcosa andò storto. Nel partito romagnolo c’era stato uno scandalo per abuso d’ufficio. Edoardo Conti, divenuto segretario della sezione Gramsci di Cattolica, denunciò quei comportamenti disonesti alla Commissione centrale di controllo. Venne ricevuto da Togliatti, che però non diede molto peso alla cosa. D’altronde i risultati elettorali in riviera erano ottimi, con punte di oltre il 70%. Conti restituì le tessere di tutti gli iscritti. Tra questi, proprio il nonno di Mariano.

Lo rivendica con orgoglio, il sindaco di Cattolica: «Mio nonno e Edo erano due partigiani. Conti faceva la staffetta, non conosceva nemmeno le persone a cui portava i messaggi. Una questione di sicurezza…». Ogni tanto la gente lo ferma, per salutarlo. Cattolica è piccola, ci si conosce un po’ tutti. Ma quando ti candidi, alla fine la gente devi conoscerla davvero. E intanto ritorna ai ricordi d’infanzia, tra sorrisi e un pizzico di malinconia. Come quando Primo lo tolse dall’asilo, perché la maestra gliel’aveva fatta fare addosso: «Nonno disse “da oggi fino alle elementari, Mariano viene con me!”». Ed è così che ha frequentato il partito e la vita del paese. Conoscendo i pescatori, con cui Primo andava a conversare, nel porto. A un certo punto prende il libro scritto proprio da Conti, Storia di una staffetta, edito da La Piazza, in cui si parla anche di quest’amicizia. «Edoardo mi ha detto, quando ha saputo che mi candidavo: “Se vali anche solo la metà di tuo nonno, a me basta. E ti voto!”». E i voti, alla fine, sono arrivati. Anche da quella parte lì.

Concludo questo racconto con due brevi considerazioni. La prima: a settant’anni dalla nascita della Repubblica, chi è figlio di quella tradizione non sembra più riconoscersi nel partito che dovrebbe esserne erede. Ricordiamo ancora la polemica sui “partigiani veri” per capire di cosa stiamo parlando. Non è possibile sapere, per ora, se tale attrazione tra una certa cultura di sinistra e M5S rientri in quel rimescolamento del presente che siamo abituati a chiamare crisi.

Ancora: è di questi giorni la polemica dello scivolone di Grillo per l’ingresso in Alde e il riavvicinamento all’Ukip. Sebbene, a guardare le votazioni in UE del M5S, risultano essere vicine alle scelte di GUE e Verdi. Che sia un caso fortuito, o quel sostrato di “sinistra” può essere un valore connotativo del futuro dei grillini? La questione è ancora aperta. A sentire Gennari, infatti, sembra che le sue parole e i suoi i toni siano veri, genuini. Come la storia che ha raccontato. Sarà il poi a dare ragione e a costruire il futuro. Eppure tutto questo rimane ancora un affascinante mistero. Nel senso genuino del termine.

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