Viva la FifaPerché il nuovo logo della Juventus funziona (e prima o poi verrà imitato)

Con una mossa a sorpresa, ieri sera la Juventus ha presentato il suo nuovo logo, che dal prossimo anno campeggerà sui tutti i prodotti del club, maglia da gioco compresa. Lo ha svelato a Milano (no...

Con una mossa a sorpresa, ieri sera la Juventus ha presentato il suo nuovo logo, che dal prossimo anno campeggerà sui tutti i prodotti del club, maglia da gioco compresa. Lo ha svelato a Milano (non a Torino…), in una festa alla quale sono stati invitati giocatori, dirigenti e stampa. Forse perché colti in contropiede, i tifosi hanno commentato sui social il nuovo logo: dando una rapida occhiata a Twitter e Facebook, sembra che la maggior parte dei fan bianconeri non abbia apprezzato la scelta della Juve di farsi rappresentare da un simbolo che mette in risalto la J e i colori bianco e nero, escludendo ogni riferimento alla città di Torino, prima presente nel simbolo del club tramite il toro.

Certo, con questa nuova scelta il club si è preso un bel rischio. Prima di tutto, perché ha eliminato ogni riferimento alla tradizione e proiettando così l’immagine della società nel calcio di oggi, sempre più attento al marketing ed alla diffusione del brand. Ma è davvero una scelta così sbagliata?

Al giorno d’oggi, i grandi club sono sempre più attenti alla propria dimensione economica. Senza usare paroloni, proviamo a tradurre: cercando di fare soldi sfruttando la propria immagine. Questo significa vendere prodotti con il proprio marchio, cercando di fidelizzare un tifoso che non è più solo quello che va allo stadio o che abita entro un migliaio di chilometri dalla città che la rappresenta. Come sappiamo, oggi il pallone è diventato un affare globale: significa cioè avere affezionati a Osaka, Singapore, Melbourne, New York. Sono i cosiddetti nuovi mercati, dove il calcio sta cercando di imporsi al livello locale (vedi la nuova espansione cinese, ma non solo), ma nei quali il grande fascino è esercitato da quelle squadre con una grande storia alle spalle, come appunto la Juventus.

Questi nuovi tifosi – certo, suona brutto a dirlo – sono visti anche come clienti da fidelizzare. Per monetizzare il loro legame – e quello dei tifosi “di casa” – un club ha davanti a sé due strade da percorrere. La prima è quella usata ad esempio dalla Roma in Italia o da Psg in Francia. Ed è la via glocal: si parte cioè da un prodotto inserito in una dimensione locale, ma capace di sfruttare le opportunità offerte dai processi di globalizzazione per diffondersi a livello mondiale. I due club negli ultimi anni hanno cambiato proprietà. In entrambi i casi, arrivano da nuovi mercati: lo statunitense Pallotta e gli sceicchi della famiglia Al Thani. Una delle prime innovazioni da essi introdotti nell’immagine del club, è stato il ritocco del logo. Da quello della Roma è sparita la denominazione ASR, legata alla tradizione della squadra, in favore della parola “Roma” e della Lupa simbolo della città. Allo stesso modo, gli arabi hanno puntato maggiormente sulla parola “Parigi” nel ridisegnare il simbolo della squadra. Non solo: il club giallorosso si riapproprierà dei suoi veri colori, appunto il giallo e il rosso, a partire dalla propria stagione. E il caso romano, con le polemiche dei tifosi seguite al restyling del logo, fanno capire quanto l’attaccamento alla storia del club come rappresentante di una città sia un legame difficile da rimodellare, quando si tratta di fare marketing sfruttando la rappresentazione sportiva della città stessa nel mondo.

La Juventus, al contrario, ha scelto di utilizzare un logo che non sia identificabile con la città, ma con il club stesso. Perché come è noto, ci sono più tifosi bianconeri nel resto d’Italia che non a Torino, come d’altronde accade con tutti grandi club. Ecco che si spiega la scelta della lettera J, ma anche il colore (Bianco e nero) e la forma che essa assume: basta uno sguardo più approfondito per scoprire che si tratta di quello di uno scudetto. Una scelta che rimanda alla tradizione del club, alla sua storia di squadra che ne ha vinti di più nel proprio Paese. Una tradizione che appartiene a tutti i tifosi, senza dover per forza rimarcare l’appartenenza a un luogo fisso.

Attorno alla lettera J, inoltre, la società sta costruendo il proprio brand: nella nuova area attorno allo Juventus Stadium sono sorti il J Museum e il J Medical, mentre si sta lavorando alla costruzione del J Village, all’interno del quale sorgerà anche un hotel, ovviamente griffato J. Insomma, tutto condensato in una lettera. Per chi crede sia riduttivo, osservi il logo qui sotto (benchè certo, questo sia un classico, cioè ha già una sua storia):

Ci sarebbe anche la questione, non ultima, legata allo stile del logo e alla sua facilità nell’essere riprodotto su una marea di prodotti per il merchandising. Sarà più facile per il club venderli, ma anche per indossarli per chi li acquista. Con tutto il rispetto, si potrà portare addosso il nuovo simbolo del club, senza sembrare vestiti come per un pomeriggio in curva (esempio: immaginate di andare in un ristorante con una cravatta. Meglio il logo di prima o quello svelato ieri?). Insomma, è un logo “in grado di rappresentare non soltanto una squadra di calcio, ma anche un’identità, un’appartenenza e una filosofia. È un segno forte, essenziale e inconfondibile. È un logo sviluppato con i princìpi con cui si costruisce un’icona globale per questi tempi: capace cioè di esprimersi con forza in qualsiasi contesto fisico o digitale. Soprattutto, è un logo che si lascia con coraggio alle spalle i conformismi degli stemmi calcistici”, come spiega la nota del club.

Un bel rischio, una sfida. Che la Juve può vincere perché innovativa ma coerente con il proprio progetto.