PromemoriaRenzi riparte dai sindaci fra luci ed ombre

Da Alex Britti alle buone pratiche ma vanno chiamate “best practices" per quel pizzico di anglicismo che nell'universo pop fa sempre la sua sufficiente figura. Ovviamente il mio è sarcasmo ma lasci...

Da Alex Britti alle buone pratiche ma vanno chiamate “best practices” per quel pizzico di anglicismo che nell’universo pop fa sempre la sua sufficiente figura. Ovviamente il mio è sarcasmo ma lasciamo stare, stiamo a Rimini che segna il ritorno agli applausi per Matteo Renzi. Il segretario del Pd non può che ri-provarci da qui, ex sindaco d’Italia con i “suoi” sindaci” e amministratori locali. Al netto delle ovazioni vedremo se ce la farà a riscalare partito (non mancano gli avversari) e riconquistare premiership del paese.

Del perchè si riparte dai sindaci e ammnistratori Pd è giusto detto. In termini di “peso” elettorale la convention dei politici locali porta un tesoretto degno di nota: dopo le amministrative del 2016 – quando hanno fatto giustamente scalpore le sconfitte di Roma e Torino a vantaggio dei Cinquestelle – l’istituto Cattaneo offriva un report ragionato sulla base del quale a vincere globalmente la tornata delle amministrative sia stato il Pd (34,3%). Vero è che in molte città le liste civiche hanno raccolto più voti rispetto ai brand tradizionali ma il terrirotio rimane un punto basico dal quale l’ex premier vorrebbe ridare impulso al partito.

Renzi ha davanti a se una sfida “titanica” , pena il rischio di rimanere disconnesso definitivamente con il paese come quando il nostro cugino nerd sclera disperato nel compulsare sul pc non accorgendosi che il cavo della rete è staccato dal modem. Detta in concreto, per Renzi non è solo una questione di trovare nuove narrazioni poiché quella modalità “sovrascrittura” è finita. Si tratta di pescare quando la altre barche tornano in porto, andare di nuovo in mare largo come è giusto e doveroso per un leader di sinistra, muoversi in cerca delle attuali distorsioni economico-sociali del paese e magari convincere che coi populismi sono proprio i popoli a perderci. Non è l’elogio della pancia degli italiani a tutti i costi ma non esistono consapevolezze senza percezioni e molte volte la maggioranza del Pd è stata talmente «ultra-pop» da risultare surreale pari merito con la sua triste minoranza.

Ad ogni modo quelle di Renzi sono parole di orgoglio e autocritica ripetendo i suoi “confiteor” (lo confesso, ho sbagliato) come un primo passo per la lunga quaresima, l’attraversata del deserto arido e impervio di un partito che – dice a più riprese – deve ricominciare ad ascoltare la base e stare al passo con le inter-dipendenze attuali (globalizzazione e lotta alle diseguaglianze, attenzione agli esclusi, basso tasso di autoreferenzialità, comunicazione meno ridondante etc). Contemporaneamente si lancia a vincere per non dare agli altri la percezione di chi ora sta sulla difensiva.

Renzi sa bene però che intorno al centrosinistra italiano- se si guarda al planisfero della geopolitica – i socialdemocratici nel mondo sono ridotti al minimo dei consensi (Francia, Germania, Uk, Usa etc). Secondo molti analisti i progressisti non intercettano più il sentiment della gente, le istanze delle periferie umane economiche ed esistenziali e di conseguenza non riescono ad elaborare un progetto di rilancio E tuttavia non mancano le persone e le storie, e vi è una classe dirigente senior e junior che può riuscire nell’impresa di tornare al governo dell’Italia. Da quando è stato eletto segretario a Renzi è piaciuto essere più marziano rispetto al suo stesso partito e un tale errore gli è stato fatale, forse più cocente degli attacchi dei suoi avversari. Incontrando e ringalluzzendo la comunità del Pd sparsa nel territorio compie un passo strategico non indifferente poiché attira a sé lo sponsor più importante per il congresso che si celebrerà in futuro.

Altresì a proposito di futuro va chiarita la battaglia delle regole del gioco e l’idea stessa del Pd nazionale: sopra i cieli della politica di oggi vi sono nuvole di proporzionale che da un lato esaltano il primato della pur sacrosanta rappresentatività nella triade perfetta elettore-voto-seggio; ma dall’altro il paese è stato nutrito a pane e maggioritario per quasi vent’anni e bisogna trovare un equilibrio fra due narrazioni che sembrano elidersi a vicenda. Può il partito a vocazione maggioritaria proporsi in una ritualità del “dopo le urne vedremo”? Farebbe strano vedere Renzi alle prese con le verifiche di maggioranza con la sala piena – da Alfano a Pisapia, da Cicchitto a Fratoianni, da Fassina a Rosato – per poi trovare la quadra di un comma di legge. Si cerca di immaginare una scena simile ma viene da dire un immediato… “aborro”!

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