Jannis Kounellis si è spento ieri a Roma e nei coccodrilli si legge che è la fine del suo viaggio. Sbagliano, la morte di un grande artista non è affatto la fine, anzi è il punto culminante della sua carriera, un momento decisivo, l’inizio della definizione del suo valore storico, l’inizio di qualcosa di più grande dell’artista stesso.
Un’altra cosa che si legge dappertutto è che se n’è andato “uno dei maestri dell’Arte Povera”, ma come potrebbe Kounellis fare a gara con Pistoletto e Penone? C’è una differenza flagrante tra Kounellis e gli altri poveristi, come un’incoerenza culturale che fa apparire l’Arte Povera un po’ forzata. E poi come si fa a dire di Kounellis che è “uno dei maestri”? Un maestro è maestro indiscutibile di un movimento oppure l’Arte Povera regge su un triumvirato, un’alleanza ufficiosa forse per qualcuno necessaria per dominare l’arte italiana. L’arte italiana: un territorio vasto quanto l’Impero Romano, e lo dimostra l’origine stessa di Kounellis, un Greco emigrato a Roma, l’unico con un’identità eterogenea a differenza degli altri artisti dell’Arte Povera quasi tutti del Nord Italia. Kounellis è l’ultimo testimone di un’identità italiana diversificata, una diversità confluita un tempo a Roma e mai più raggiunta altrove in Italia.
Si sa che Kounellis era già Kounellis prima dell’inizio dell’Arte Povera, prima di salpare per Genova e Torino alla galleria di Sperone. Fino all’ultimo Kounellis si riconosceva nell’Arte Povera ma diceva anche di essere romano. Cosa gli ha impedito di essere chiaro o almeno più loquace sugli inizi della sua carriera a Roma? Sicuramente il fatto che gli interessi tra Roma e il triangolo industriale (Torino, Milano e Genova) non fossero ufficiali e ancora oggi sono un problema.
L’Arte Povera è nata da aspirazioni internazionali non solo da parte italiana, è il prodotto di ambizioni anche americane incarnate dalla coppia Leo Castelli e Ileana Sonnabend e le loro manovre in giro per l’Europa. Manovre riuscite a Parigi e a Torino ma fallite clamorosamente a Roma dove l’ansia e la prepotenza della Sonnabend si sono scontrate con un’ideologia radicata, tra Fascismo e Comunismo.
Gli artisti che hanno detto no all’Arte Povera e al mercato americano sono stati squalificati, ma che gli artisti vi abbiano aderito o no è irrilevante. La spinta, ereditata dal Futurismo, a ricostruire l’identità italiana dopo la guerra è stata sovvertita dall’operazione omologatrice dell’Arte Povera, figlia di una cultura importata conforme alla politica democristiana. Se da Burri a Kounellis, gli artisti a Roma non hanno mai sentito il bisogno di dare un nome al loro movimento è perché l’obiettivo era di fare non l’Arte Povera ma l’Arte Italiana. A questo progetto e a questa consapevolezza romana, a lungo sottaciuta e scomoda, non ha ancora risposto lo Stato italiano, l’unica autorità a poter ratificare un’arte sovrana.
Intanto Virginia Raggi ci ha messo la faccia, prima sua apparizione nel mondo dell’arte contemporanea alla camera ardente di Kounellis al Campidoglio oggi.
Raja El Fani