TecnopinioniNon toccate #paroleostili: è già molto illuminante così com’è

Qualche giorno fa un nutrito gruppo di influenti giornalisti, opinionisti e altre categorie protette si è riunito a Trieste per stilare un manifesto contro l’hate speech e in generale i comportamen...

Qualche giorno fa un nutrito gruppo di influenti giornalisti, opinionisti e altre categorie protette si è riunito a Trieste per stilare un manifesto contro l’hate speech e in generale i comportamenti negativi, distruttivi, aggressivi sul web e i social network in particolare. Il progetto si chiama #paroleostili e il suo manifesto è eccezionalmente irrilevante, ma al contempo molto istruttivo. Perciò vi prego, non toccatelo più, va benissimo così: forse abbiamo la prima dimostrazione nostrana del fatto, ancora incompreso ai più, che a proposito del web insistiamo a farci le domande sbagliate.

Scegli bene le parole. Gli insulti non sono argomenti. Prima di parlare bisogna ascoltare. Il manifesto uscito dalla riunione di questi cervelli – lo sono per davvero, non scherzo: sono persone terribilmente intelligenti e alcuni di loro anche colleghi e amici dell’autore di questo post – è da scuole elementari, sembra il volantino di una colonia estiva degli anni Cinquanta. A quanto pare si deve ripartire dalle basi, è il segno dei nostri tempi, come suggerito dall’osservazione empirica dei social e dimostrato dai rapporti Ocse. Credo onestamente sia un manifesto di cui non si può parlare male, non potendo fare alcun bene concretamente, ma è il classico esempio di contenuto già condivisibile da chi è in grado di recepirlo e non recepibile da chi ne avrebbe bisogno. Il massimo che si può sperare, ottimisticamente, è che più persone si comporteranno secondo questi principi più è possibile immaginare, a lunghissimo termine, una specie di persuasione morale nei confronti di chi non li rispetta. Non è nulla di più.

Molto spesso si casca in questa dinamica: si creano contenuti buoni a convincere chi è già convinto di suo, però distanti astronomicamente da coloro che per tante ragioni non lo vedranno, se lo vedranno non lo capiranno, se lo capiranno saranno in disaccordo. Un po’ come il debunking, che viene letto da persone diverse da quelle che invece cascano nelle bufale: così si smentisce a favore di qualcuno che è diverso dalla vittima per cui si pensa di dover smentire. Una paradossale conferma di rinforzo della cosiddetta “bolla”.

Non perdo tempo a spiegare l’evidenza a chi bazzica questi temi: il rapporto fra le persone all’interno della colossale trasformazione dei processi informatici e persino della nostra mente (che è plastica, si modifica a seconda dei linguaggi appresi) è troppo più complesso e forse già determinato per essere risolto con questi princìpi di buona educazione che potrebbero tranquillamente essere stati pensati nel 1917 invece che nel 2017.

La domanda interessante a cui provo a rispondere è perché un manifesto sull’ostilità delle persone sul web finisce per non parlare del web. Il primo punto parla di “virtuale” (termine che sarebbe perdonabile in un cinquantenne), e l’unico punto che cita latamente qualcosa che riguarda il web è il settimo. Il resto sarebbe comprensibile anche da un antico romano trascinato qui con la macchina del tempo. La possibile risposta è illuminante, ma non è venuta in mente a coloro che anche di recente aprono discussioni, commenti su questo manifesto, si interrogano su come migliorarlo (il primo punto ad esempio è concettualmente un disastro) invece che prenderlo per quel che è, cioè una formidabile autodimostrazione di inutilità.

Ammetto essere una mia convinzione di fondo (anche se la sottopongo sempre a costante stress), ma quando vedo che si riuniscono delle persone per due giorni parlando dei “problemi del web”, ragionano per davvero, cercano una sintesi estrema e ne esce un manifesto di questo tipo, secondo me dimostra un principio che forse dovrei chiamare Assioma#1 degli Internettologi Consapevoli:

| È fuorviante pensare il web come “luogo specifico” |

Oltre un certo livello di distillazione, ogni riflessione su cosa succede in Rete diventa una riflessione su cosa succede a noi. Il web sparisce e si sostanzia la prepotente umanità di chi l’abita. E si torna punto a capo. Se avessero riunito cento professori delle medie, cento infermiere, cento notai, dopo giorni di discussione e sempre a quel livello di distillazione l’esito sarebbe stato identico. Avrebbero raggiunto un accordo su questi principi di massima. Non ci si parla addosso, prima si legge poi si commenta, offendere qualcuno offende più sé stessi che le vittime. Avere riunito degli influencer non ha avuto alcun valore, se non relazionale, di pubbliche relazioni, ma nel decalogo non c’è l’impronta. Non c’è più nulla. E questo per una ragione che va capita una volta per tutte: non siamo soltanto là dentro e non accadono cose unicamente là dentro.

Paroleostili è un ottimo vademecum per chierichetti, un volantino da distribuire prima della tombolata di capodanno, un pieghevole da distribuire sui tram, un A4 da attaccare sulla bacheca delle scuole superiori e nella tenda dei boyscout. È questo, non è mica una cosa da vergognarsi. Al limite si dovrebbero vergognare coloro che si sono fin qui comportati così male da costringere altre persone a riprendere l’abicì.