La curatrice della High Line di New York Cecilia Alemanni ha presentato stamattina a Roma il programma del Padiglione Italia della Biennale d’Arte di Venezia 2017. Gli artisti selezionati sono Giorgio Andreotta Calò, Adelita Husni-Bey e Roberto Cuoghi. Poco prima il Commissario del Padiglione Italia Federica Galloni ha annunciato trionfante che da quest’anno il limite di massimo tre artisti entra definitivamente nel regolamento del Padiglione Italia, riducendo il problema ad un fatto non scientifico bensì meramente burocratico. Ma se la scelta è arbitraria, se non sono state individuate le linee di ricerca più avanzate, scegliere due o tre artisti è molto peggio che invitarne quaranta. Significa farne dei privilegiati, fare entrare dei raccomandati a gamba tesa nel mondo scientifico.
L’arte oggi è una scienza avanzata ma in Italia, invece di individuare quali sono gli artisti e le linee di ricerca da portare avanti, la curatrice Cecilia Alemanni si rifà all’antropologia del secondo dopoguerra, il mondo magico di De Martino. È come se per dimostrare un concetto di matematica si scegliesse un biologo.
Con il riferimento alla magia e all’artista-sciamano da De Dominicis a Marisa Merz, la giovane curatrice italo-americana pretende inoltre opporsi al “documentarismo di Enwezor” (curatore sudafricano della Biennale Arte 2015) dichiarando: “La Biennale non è un luogo dove si storicizza l’arte ma dove l’artista sperimenta e corre un rischio.” Sì, a patto di partire da un’ipotesi scientifica. Ipotesi, sperimentazione, risultato: sono i tre principi della ricerca scientifica in cui si annovera l’arte dalla fine dell’Ottocento. Nella commissione del Padiglione Italia invece, non più degli specialisti ma un curatore decide ex cattedra chi farà tendenza, chi servirà il mercato, l’ideologia che ha preso il posto della ricerca scientifica.
La Biennale di Venezia ha rinunciato a questa prerogativa durante la stagione del terrorismo, all’inizio degli anni Settanta con le Brigate Rosse. Forse il mongoloide esposto alla Biennale da De Dominicis segna la fine della sperimentazione artistica che rappresenta un rischio troppo grande per lo Stato. Da allora siamo passati dal problema di sicurezza all’eccesso di burocrazia al favoritismo. Ma l’artista deve competere a dei livelli scientifici internazionali, quanto può reggere l’inganno? Il premio Nobel non sì dà agli sciamani.
Raja El Fani