La City dei TartariGloria (Storie oscure ma vicinali 1)

Tutto un giorno divenne difficile. Impossibile. Tutto divenne acerbo, immaturo, non raggiunto, non adeguato. Non so quando, ma so che accadde. Una forma di eruzione invisibile di agenti di disturbo...

Tutto un giorno divenne difficile. Impossibile. Tutto divenne acerbo, immaturo, non raggiunto, non adeguato. Non so quando, ma so che accadde. Una forma di eruzione invisibile di agenti di disturbo. Sostanze psicologiche, dense, materie scure che hanno intrappolato il paese. Lo racconta tutto, l’insegna che perde lettere, le case abbandonate, i ruderi mai ricostruiti e lasciati come memorie di mattoni e pietra, per ricordarci che li’ qualcuno ci e’ nato, ci ha abitato.

Qualcosa e’ morto e, nelle notti di primavera, nei falo’ pasquali, le fascine di piante bruciate a far fiamme alte, altissime, qualcosa continua a scomparire, a celarsi. Un tempo, la gloria di Dio si manifestava nel Te Deum, nel canto sfrenato della resurrezione, nelle processioni in broccati e paramenti barocchi. Gli occhi delle statue, le pieta’ e le madonne addolorate. In una notte di rivelazione, tutto tramutato, trasfigurato. La notte pasquale, quando il tempo si fermava e ripartiva.

Non ne trovo piu’ le tracce. Non ne riconosco piu’ la memoria di quel paese devoto e scanzonato, di tradizioni e memorie. Ed accade perche’ non voglio vederla quella preghiera quotidiana, di fiori nei cimiteri, agli angoli, di anziani portati a passeggio dai nipoti o viceversa. Non voglio comprendere quella quieta resistenza agli intorni, ai margini delle Grandi Cose che Non si Possono Far Decidere alle Persone. La quieta e silente rivolta, di chij continua a seguire le leggi, le regole, a chi usa ancora categorie politiche antiche, vetuste come la terra, ma ancora attuali. Popolo, potere, uguaglianza. Quella forma di controllo che sembrava esser passato alle persone, grazie all’educazione, agli studi. Lo status di capire il mondo, di capire gli intorni, di poter leggere, scrivere, far di conto. E di potersi formare un’opinionne senza, necessariamente, ogni volta, proclamare qualche verita’ divina.

Nelle piazze oggi abbandonate a posteggiatori abusivi, a giovani sulle panchine che ti guardano e ti dicono ‘e ora?’. E ora? Cosa accadra’? La notte imperversa, le luci di case sulle colline, le macchine dell’autostrada in fondo valle, da qualche parte camminano figliol prodighi e anime risorte, indugiano nelle strade di campagna, entrano nelle chiese con le porte lasciate aperte. Si siedono sui gradini dei palazzi comunali, leggono ogni nome dei caduti in varie guerre. I monumenti di bronzo parlano, raccontano le loro storie. O di quello che rappresentano. Ma le anime perse non comprendono quella conseguenza, quel collegamento fra quel mondo lontano, della fatica immane di costruire strade, muri a secco, tratturi, case, palazzi, cattedrali e quel lento declivio dell’essere che osservano. I filari di viti, gli olivi, i meli. Le scuole con piccoli disegni e murales di epoche passate, dove la rappresentazione del mondo era quella del futuro radioso, ingegnoso. Le ali aperte e pronte al balzo. E ginocchia sbucciate dalla caduta in corsa.

Tutto si salva, alla fine, ci hanno insegnato. Da qualche parte fra giustizia umana e divina. E’ una bugia. Lo so per certo, niente si salva se non si costruiscono le condizioni, niente si ottiene se non ci si mette sforzo, sudore. Non si puo’ piu’ vivere di rendita su alcuni secoli di stupore e di immaginazione, come in politica, ammetto mordendomi le labbra, non si puo’ costruire tutto un mondo nuovo solo accontentandosi di poche e smerigliate idee. Smerigliate, rese opache dall’uso sbagliato, dal fraintendimento. Non vince chi ha sempre ragione, ma chi riesce a vedere le cose dall’alto ed a giudicare la direzione giusta. Chi prova, rischia, arranca. Chi ci mette del suo e ti convince a metterci del tuo. Per arrivarci assieme. Mentre qui, lo dicono i volti nelle prime pagine dei giornali, sui TG, sembra che tutto si debba fare per innalzare qualcuno o qualcosa. Come un tabernacolo con immagini sacre, reliquie di santi sconosciuti, frammenti di tibia e raziocinio.

Tutto e’ un deposito, un lascito, abbandonato, riaggiustato in fretta per poterci vivere. Le notti di aprile, quelle in cui la pioggia faceva pulito dei pollini di cipresso e di ogni possibile altra pianta. Le notti di aprile prima di Pasqua. Da qualche parte la gloria, la speranza. Da qualche parte le intenzioni vere, serie, di cambiamento, si annidano. La gloria che svanisce ora. Perche’ ad un certo punto si e’ abdicato alla semplicita’ di poter ottenere qualcosa, per tutti, assieme, per lasciar postoi al privilegio della scelta per pochi, a nuove stratificazioni di controlli. E di vuoti lasciati fra le cose e le persone. Il senso della mancanza, di persone nei campi, di solerzia.

O, forse, tutto e’ qui nella mia testa di sognatore, di ideologo del Noi, del futuro senza rimorsi, ma che sia accessibile a tutti. Della mia ambizione politicante frustrata dal declino delle cose. Che percepisco, come un indice di borsa, come una forma di leva finanziaria sociale. Tutto cospira all’insostenibilita’. E, nella notte toscana, nell’attesa di raccolti, di lucciole e di albe incoraggianti, chiudo le frasi, il ragionamento con un leggero groppo alla gola. E se fosse colpa mia? Dell’abusivismo, dell’ignoranza, delle teorie cospirazioniste, del medioevo telematico? E se fosse colpa mia questo disfacimento? E, diciamocelo, se fosse anche colpa nostra?

La scelleratezza di lasciarsi abbindolare da quella formale perfezione di un’alba osservata da una strada vicinale, nella campagna fra hic et nunc. Dove tutto sembra come all’inizio dei tempi. Ma, appena dietro la collina, tutto ridiventa di plastica. Materiale eterno per sua natura. Una specie di gloria di Dio in PET o PVC. Una specie.

SOUNDTRACK – Happyness – Tunnel vision on your part