NewsBanditeI giornalisti ribelli diventati eroi a Rashidin, Aleppo

"Quello che io e i miei colleghi abbiamo fatto dovrebbe ispirare l'umanità e tutti coloro che hanno contribuito a uccidere i bambini di Khan Sheikhan". Abd Alkader Habak Siria, Al Rashidin, sobb...

“Quello che io e i miei colleghi abbiamo fatto dovrebbe ispirare l’umanità e tutti coloro che hanno contribuito a uccidere i bambini di Khan Sheikhan”. Abd Alkader Habak

Siria, Al Rashidin, sobborgo di Aleppo, sabato 15 aprile, primo pomeriggio. Tre macchine entrano nella stazione degli autobus. Arrivano dalla via Ramousa, dalla zona controllata dal regime. Le ha inviate il governo per portare cibo e medicine per i civili sfollati da Foua e Kafreia, in sosta nel luogo a causa di un problema nelle trattative sullo scambio demografico con la gente di Madaya e Al-Zabadani, che avrebbe dovuto essere lì nelle stesse ore e che invece è stata fermata da un’altra parte.

I militari ribelli che controllano Al Rashidin le lasciano passare. Venti minuti dopo una di queste macchine esplode. L’attentato è devastante: si conterebbero almeno 126 vittime di cui 68 bambini e tantissimi feriti, civili sciiti e 30 combattenti dell'”opposizione”. Macchine, mezzi e ambulanze distrutte, lacrime, dolore, terrore. Non entro nei dettagli: non è di questo che voglio parlare; perdonate la superficialità consapevole e la ricostruzione per ora parziale.

Nel posto ci sono giornalisti, reporter e medioattivisti. Ribelli che rischiano la vita da anni per denunciare i crimini di Assad e degli suoi alleati. Il boom e l’inferno inatteso li scopre eroi agli occhi di molti. Alcune foto che li ritraggono prestare i primi soccorsi alle vittime cominciano a diventare virali in tarda serata. Alcune sono più fortunate di altre e così Abd Alkader Habak, videoreporter e medioattivista, diventa il simbolo per tutti i suoi colleghi e amici. L’autore di molti scatti è Muhammad Alrageb, giovane fotografo per Baladi News Network. Egli stesso cerca di aiutare. “Un dovere” mi spiega in chat. A Rashidin il suo portatile, una macchina fotografica e i suoi effetti personali, bruciano nell’auto di un amico raggiunta dall’esplosione. Intanto lui continua a muoversi tra i corpi disfatti, si fa forza, e, se pur sopraffatto dall’emozione, riesce a immortalare i colleghi..

 https://www.facebook.com/mo3tazkhattab5/posts/1827241574195807?pnref=story 

 https://www.facebook.com/photo.php?fbid=328572974212665 

La reazione sui social alla vista delle foto è immediata. I ragazzi siriani sono commossi da quell’ennesimo atto di estremo coraggio e umanità, che a loro è familiare, al mondo poco o per niente… I volti e i nomi di Abd Alkader Habk, Mohammed Khair Hak, Alaa Aldin Hamdoun e Hammer Jaber scorrono di bacheca in bacheca su facebook e si spostano su twitter, accompagnati da messaggi di stima, di solidarietà, di orgoglio.​

“Questo è quello che siamo e questa è la nostra rivoluzione.
Tutto è cominciato per proteggere e salvare le vite degli innocenti dal terrorismo di Stato”.
Così commenta su twitter Syrian Developer, un programmatore e citizen journalist di Aleppo.

Lina Shamy, giovane architetto diventata nota a dicembre per i suoi video da Aleppo, a dicembre, scrive: “Oggi non eravamo pro Assad o contro Assad. Eravano tutti siriani, l’uno chiedendo all’altro, stai bene, fratello?” Mohammed Al Khatieb, giornalista di Aleppo, a proposito di un corrispondente spiega: “ha lasciato il microfono perché è figlio della rivoluzione”:

Le foto di Abd Alkader Habak che corre con un bambino ferito in braccio e quella di lui disperato, atterrato, in ginocchio a piangere l’orrore, iniziano a fare il giro del mondo.

I video cronaca di Mohamed Khair Hak pubblicati sul suo account facebook e su quello di Al Jazeera, condivisi o ricaricati da tanti, girano rispettivamente dal pomeriggio e dalla sera tardi. Il suo pianto urlato al cielo mentre riprendeva l’inferno è ancora fermo nel ricordo di molti. Abd e Mohammed non sono gli unici. Tra gli altri: Ammar Jabar, altro famoso reporter di Orient News e il collega di Mohammed, Alaa Aldin Hamdoun, di cui si racconta che milizie sciite di regime gli abbiano massacrato la famiglia, e altri ancora.

 https://twitter.com/worldonalert/status/853387037340295169 

Abd e Mohammed sono i due medioattivisti che conosco meglio e da più tempo. Sapevo che fossero lì, a Rasheedin, da almeno due notti e non solo per lavoro. Abd attendeva la propria famiglia che sarebbe dovuta arrivare sui bus da Madaya e Al-Zabadani.

Dormivano accampati in sacchi a pelo. Mentre scherzavano su instagram in diretta. quasi all’alba, due giorni prima, o mentre scaldavano l’acqua nel bollitore su un fuoco improvvisato sul terreno, non sapevano cosa sarebbe successo.

Abd proprio il 13 aprile aveva compiuto 23 anni, la sera del suo compleanno timidamente aveva condiviso un’iniziativa in crowdfunding per la raccolta fondi per la costruzione di un ospedale. Progetto forse già rimosso, non ha approfittato della notorietà acquisita nell’ultima settimana per rilanciarlo.

La mattina prima del giorno del massacro Mohammed Khair Hak era parso ottimista. Su facebook scriveva che nonostante la crisi e la guerra c’era un clima sereno. Da poco era tornato in Siria, da poco aveva ricominciato a lavorare dopo una pausa che ci aveva raccontato da ospedali e casa della sua famiglia rifugiata in Turchia. Abd Alkader Habak invece era rimasto a Idlib e capitava di vederlo nel newsfeed condividere le foto del cielo terrorizzato dai raid aerei di Idlib e russi. Testimone del massacro chimico di Khan Sheikhun come reporter sopraggiunto nel luogo, stava per passare da un dramma a un altro. Entrambi, Mohammed ed Abid, sarebbero potuti morire già tante volte. Sotto il cielo di Aleppo come a Idlib, sotto bomba o violentati dalle milizie mercenarie, dagli Hezbollah terroristi, o da belve dell’esercito arabo siriano.

Mohammed ha 24 anni. Reporter della prima ora, nel 2012 ha fondato con altri ragazzi l’Aleppo Media Center. Era poco più di un ragazzino allora. Cresciuto tra il dolore per le perdite di amici cari, la nostalgia della famiglia, la paura e il rischio costante. Ferito più volte, ha sempre ripreso poi a lavorare prontamente. Non gli si è indurito il cuore, né ha perso la voglia di vivere. Cantante, saggio poeta, nelle manifestazioni è spesso lui a prendere il megafono…E no, non era la prima volta che lo si immortalava in foto mentre salva un bambino. Una, scattata ad Aleppo nel 2015 fa dal fotografo Hosan Kattan è diventata virale. In pochi tuttavia sanno dare un nome a quel ragazzo con gli occhiali tra i white helmets che aveva messo la telecamera da parte per unirsi a loro.

Sabato scorso ha tentato di lasciarla accesa. Così ha continuato a riprendere l’inferno mentre gli crollava il mondo intorno e dentro, più volte. E piangeva, piangeva come un bambino abbandonato mentre barcollava tra cadaveri e feriti. E urlava. E si fermava a raccogliere qualcosa, qualcuno. Forse se lo metteva sulle spalle. Stremato e gridava mentre il mondo continuava a cascargli intorno…Ancora.

E poi? E poi è tornato a lavoro, come ogni volta…Così gli altri.