La vittoria di Matteo Renzi alle primarie di ieri è indiscutibile. Al netto delle dichiarazioni e dei grafici di paragone il risultato della partecipazione dei cittadini è consolante. Sono d’accordo con quanto è stato scritto, cioè che comunque la si pensi, è da apprezzare lo sforzo di quei quasi due milioni di persone che hanno sentito la necessità di uscire di casa, di mettersi in coda e di scegliere così il segretario del loro partito. Inutile perciò fare la sinossi con le precedenti primarie poiché la velocità dei tempi contemporanei annullano (ed è un peccato) i raffronti (il paese è tripolare) a cui va aggiunto l’instabilità dell’elettorato italiano. I cittadini, disabituati negativamente alla complessità dei problemi del paese, cambiano i loro orientamenti in pochi mesi mandando segnali di irrequietezza e di disagio che vanno immediatamente intercettati.
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Ecco perché queste primarie dovrebbero essere lette dal punto di vista del gazebo: nel caso del Partito democratico le urne confermano una presa di coscienza che non esiste solo un leader ma sopratutto una comunità che lo elegge e in qualche modo gli conferisce un mandato preciso. Sarà per questo che Matteo Renzi promette meno personalismi e oggi parla di “comunità” di persone rendendosi conto probabilmente che la sua “second Life” inizia grazie alla scommessa che un pezzo del paese fa su di lui. Questa ri-connessione del partito con la sua figura e le sue potenzialità potrebbe essere la svolta “sociologica” del Pd e con essa potrebbero arrivare nuove forme di partecipazione e condivisione degli iscritti alle iniziative politiche. Se potesse parlare, dunque, il gazebo vorrebbe stare aperto non solo per il congresso ma essere installato costantemente, pronunciarsi sulle idee, rimanere aperto per negoziare e dibattere, prendere posizione e non rimanere escluso. Dalle urne insomma ne esce fuori certamente un Pd che a prezzo di una scissione – la quale non ha prodotto forse troppi danni – riguadagna più chiarezza e identità interna (si spera) e viene eletta così una segreteria che riaggancia la sua base più in qualità che in quantità, considerato il calo di questi anni di governo a maggioranze variabili.
Ma allora ci si chiede se paga governare. In parte sì, ma dipende anche dal come ci si connette con la propria gente. E quindi ciò impone a Renzi un co-working più efficace e una maggiore capacità inclusiva anche a costo di farsi più concavo rispetto alle altre anime presenti nel partito. Orlando ed Emiliano apprezzabili intanto nell’aver rispettato la ditta molto più di tanti altri adesso fuoriusciti, devono avere spazi e tempi nel dialogo con la maggioranza ma nello stesso tempo si chiede loro la promessa di collaborazione col segretario rieletto evitando il demenziale stillicidio di questi anni precedenti nei quali sembrava figo lacerare il proprio segretario a ogni piè sospinto.
«Il congresso segna l’inizio di una pagina nuova, non è al rivincita o il secondo tempo della solita partita»
Il gazebo consegna a Renzi un mandato preciso che lo vincola – in nome di un partito più unito e inclusivo – a smentire concretamente le intenzioni ispirate allo “stai-serenismo” (si vocifera una legge elettorale proporzionale a dispetto dei grillini, la defenestrazione prossima di Gentiloni, i giochi su più forni, gli arzigogoli sulla manovra economica etc). Queste primarie per certi versi non sono il passe-partout per tornare agli azzardi del passato e per il governismo a tutti costi rivelatosi micidiale per un partito che nel 2013 non ha vinto le elezioni. Rispettare perciò i moderati del centrodestra (seppur in frantumi) e i tanti che votano Movimento cinquestelle è il primo passo per un salto qualitativo di Renzi e di un Pd entrati in una fase nuova. Insomma il Pd non è ancora la maggioranza degli italiani e la strada del consenso è tutta in salita.
Finisco con una battuta di una mail ricevuta alla quale vorrei aggiungere il giusto punto interrogativo: sfiorito il giglio, che sia forse nato un giardino? Vedremo…