Tribuna centrale aperta a tutti, una ventina di persone sedute, altre sparse a destra e a sinistra in piccoli gruppetti, alcuni bambini, clima familiare e caldo tipico della fine dell’estate in una città in cui il freddo sa farsi sentire con tutta la sua verità. Siamo nello stadio Alfredo Viviani di Potenza, è un pomeriggio pigro di calcio provinciale, con i sogni annodati al ritorno nelle piazze più importanti del calcio nazionale. Si sta bene seduti sui seggiolini blu e rossi, l’atmosfera è piacevole così come lo è per una partita di allenamento prima dell’inizio del campionato.
In campo due squadre: a sinistra i bianchi, la Murese, a destra i rossi, il Potenza, rinnovati nello spirito, negli assetti societari, con alla guida un allenatore che di successi e di risalite ne è grande esperto. E noi, io e mio nipote Francesco, siamo qui per vedere, per capire, per misurare ambizioni e realtà.
Il caldo contribuisce ad abbassare i toni dei commenti, i tifosi sono quasi silenziosi e se parlano lo fanno a voce bassa, quasi per non disturbare i ragazzi in maglietta rossa ed il mister. Ma questo non toglie che ognuno di loro abbia uno schema da suggerire, una soluzione tecnica e tattica, un passaggio che era meglio farlo prima, magari di esterno a giro. Il campo è verdissimo sotto i colpi di luce del sole del tardo pomeriggio che diventerà tramonto, traslucido e morbido al contatto con i tacchetti dei 22 in campo. La palla scorre veloce sui fili d’erba sintetica che pare di seta, bagnata da poco dal gettito potente degli idranti che, con i loro spruzzi obliqui, hanno ricreato la magia dell’arcobaleno all’incontro con la luce del sole. Difrónte, nella parte destinata ai distinti ed alla stampa, un solo uomo, chiaramente tifoso, seduto sotto il sole ancora caldo a guardare la partita senza alcuna espressione seduto con la gamba destra sulla sinistra . E’ come una palma in un deserto di cemento e ferro, nella sua solitudine rimanda a considerazioni mai banali sulla vita, lo stare al mondo, l’esigenza di isolarsi o di restare in contatto con gli altri.
Intanto, sul verde rettangolare, fraseggi e sovrapposizioni, cambi di gioco e passaggi a saltare il centrocampo, ma poco calcio spettacolo, molto fisico, molti polmoni e urla degli allenatori che provano schemi e studiano posizioni. Arriva il terzo gol del Potenza, applausi sinceri dei tifosi, anche dei più piccoli compreso mio nipote che è seduto al mio fianco, con una gloriosa maglia rossoblù con tanto di leone sul petto ricamato a mano. La palla gira, lenta e rapida, le trame di gioco si fanno un po’ timide ed incerte, ma è normale se sei ancora alle prese con la preparazione atletica e con lo studio degli schemi che il mister ha intenzione di applicare nei novanta regolamentari, ma lo schema regge sia in fase offensiva e che in quella difensiva. Alcuni movimenti non sono ancora automatici, ma il tempo per aggiustare le cose c’è e basterà.
Fine primo tempo.
Niente spogliatoi ma tutti in panchina, a bere acqua e a riposare muscoli e fiato. Il vociare dei tifosi si fa più basso, fini ad annullarsi, mentre le parole degli allenatori si fanno più rotonde e chiare all’ascolto. Quale migliore occasioni, per tifosi e curiosi, per capire gli umori e gli equilibri della vita segreta che si svolge negli spogliatoi, alla quale da sempre si accompagnano leggende e un’aneddotica varia e sospesa tra “mi hanno detto che” ed il “conoscendo X sarà andata sicuramente così”. Il mister del Potenza, i rossi, spiega e urla, dirige e incoraggia, dispone e interroga. Ha polso e sa come trasferire ai suoi ragazzi carattere e motivazioni. Gestire la palla, contenere gli attacchi, correre in avanti, rischiare, tentare, aspettare, avere la giusta cattiveria, la fame di vittorie.
Fischio d’inizio del secondo tempo.
Cambi da entrambe le parti, volti nuovi – o nuovissimi in alcuni casi- , in tribuna riprende il vociare dei commenti e delle telefonata, del calciomercato e dei nomi di fantasia, delle rose dei desideri e dei sogni in tacchetti e maglia rossoblù. Dieci minuti dopo il fischio ed è subito gol. Un bel gol, di precisione e di forza, dopo un’azione in solitaria sulla destra ed un rapido e breve accentramento per metterla meglio dentro.
Alla fine saranno oltre dieci i gol del Potenza, poi tutti negli spogliatoi per la doccia ed un po’ di frutta fresca. Gli spalti iniziano a svuotarsi, solo qualche affezionato resta ancora per commentare e sentire l’odore dello stadio. Il mister incontra i giornalisti, i dirigenti parlano con i calciatori, qualche ospite si aggira nella zona mista, quella tra il campo e la sala stampa.
Visto da vicino, il calcio di provincia ha riti e abitudini che servono a creare comunità e miti. L’inizio del campionato non è poi così lontano, il lavoro da fare è ancora molto ma qui si respira un entusiasmo inedito e contagioso. Lo si sente a contatto con il campo, lo si percepisce in città, lo si respira chiaramente tra chi vive lo stadio, ogni domenica e chissà da quanto tempo. E questo già basta per iniziare bene la stagione, con le giuste motivazioni e la fame che serve per affrontare un cammino così lungo e non facile.