AttentialcanePer una critica riformista al deandreismo

Sono di due tipologie le critiche a “Principe libero”, la fiction tv (non male) dedicata a Fabrizio De André, andata in onda questa settimana su Rai1. Da una parte ci sono quelli che si concentran...

Sono di due tipologie le critiche a “Principe libero”, la fiction tv (non male) dedicata a Fabrizio De André, andata in onda questa settimana su Rai1.

Da una parte ci sono quelli che si concentrano sugli aspetti formali – pare un fotoromanzo, Marinelli (l’attore che interpreta Faber) bravissimo, ma perché l’accento romano? – e dall’altra quelli che mirano alla sostanza, gli indignati, le vestali del deandrépensiero, i puristi coi vinili nello scaffale.

Dei primi non me ne frega nulla. È degli altri che vorrei parlare, da sinistra. Di quelli che Faber si sta rivoltando nella tomba, di quelli che l’anarchico buono di qua e l’amico fragile di là. Di quelli che – ecco il punto “politico” – uh, i campi alle ortiche del suonatore Jones! Suonatore – va da sè – contrapposto al borghesuccio che, invece, i campi li coltiva.

Eccola la radice “politica” del problema, il malinteso (poetico, per carità) che fa gridare allo scandalo questi abbaialuna postsessantottini che si sono appropriati della cultura di sinistra in Italia e che nei salotti di casa propria possono permettersi di continuare ad ascoltare i dischi di Fabrizio De André come se il tempo non fosse passato. Anarchici alle vongole incapaci di costruire alcunché.

Perché i campi vanno coltivati. Punto. E se siamo ridotti così è perché una generazione di paraculi, potendo contare sul lavoro fatto dalle generazioni precedenti, si è abbeverata ad una cultura libertaria utilizzandola come alibi per fare i fatti propri. Egoisticamente. Una generazione che continua ad ammorbarci con la sua diversità, inattualità, irriducibilità e papparapà. Non è educativo, non è di sinistra.

Non so se, poco prima di morire, il padre di De André – come riportato nella fiction – aavesse davvero detto a Fabrizio: “L’ho imparato da te… un ridere rauco e ricordi tanti e nemmeno un rimpianto”. Ecco, se fosse andata proprio così, le parole di uno che ha diretto aziende e sì, ha vissuto una vita da borghese vero, beh quelle parole sarebbero la migliore risposta agli abbaialuna di cui sopra.

Nemmeno un rimpianto, né più né meno come il suonatore Jones.

(www.attentialcane.org)

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