Le Europee si avvicinano, e una cosa è certa: queste sono le elezioni che potrebbero cambiare il volto del continente. In Italia, mentre i partiti tradizionali faticano, i nazionalismi e i populismi governano il paese e gli strali dell’opinione pubblica illuminata non sembrano scalfirli: il consenso di Lega e 5 Stelle rimane attorno al 60%.
Nonostante la campagna elettorale non sia ancora ufficialmente iniziata, i partiti sono già in fermento e, consapevoli dell’importanza di queste elezioni, stanno scaldando i motori. Fare previsioni, in un periodo storico in cui le intenzioni di voto sono diventate fluide come non mai, in cui il clima d’opinione muta in modo radicale in poche settimane, non è facile. Ma la campagna elettorale che abbiamo di fronte si sta già delineando sotto diversi aspetti. I tanti candidati, i collegi molto grandi e lo scenario politico attuale rendono la competizione molto interessante, e offre numerosi spunti di riflessione.
Europa nì, Europa no.
I dati parlano di una grande crisi di fiducia dell’Europa. Sebbene gli italiani siano contrari ad uscirne, la fiducia verso le istituzioni è comunque molto bassa: i temi europei non scaldano, le istituzioni non sono ritenute affidabili e c’è una percezione generale di distanza e diffidenza nei confronti dei maggiori esponenti europei (Moscovici in primis). Alle forze di opposizione resta un solo posizionamento, che però non incontra il favore degli italiani. Paradossalmente, all’opposizione non converrà parlare di Europa mentre favorirà gli euroscettici, che potranno appropriarsi del frame del “cambiamento”. Il “Sì ma non così” non mobilita gli elettori, che invece sono più spinti ad andare a votare dal frame del cambiamento (il vero grande vincitore nelle elezioni degli ultimi anni in Italia, a tutti i livelli). Lo conferma la deludente performance di +Europa alle politiche di marzo 2018, partito che oggi può rivendicare un posizionamento chiaro e lungimirante ma con un consenso debole.
Quindi cosa resta alle forze di opposizione?
Si vota, Governo ladro.
Le forze di Governo, oggi, godono di un consenso forte: quasi il 60% degli italiani ha fiducia e si riconosce nella Lega e nel M5S. È presumibile quindi che una buona parte dello scontro politico verosimilmente si concentrerà sulla discussione dell’operato di Governo. L’immigrazione, tema forte di campagna della Lega, sarà il focus su cui si concentrerà Salvini; probabilmente, il leader della Lega cercherà di assumere un’immagine più istituzionale, cercando di limitare i toni forti e apparendo come uomo fermo, saldo al comando.
Di Maio, invece, concentrerà la propria dialettica sui risultati ottenuti in fase di modifica del DEF con toni entusiastici, utili per mobilitare la propria base e per galvanizzarla, e punterà tutto sul reddito di cittadinanza, per confermare i dati elevatissimi raggiunti dai 5 Stelle al sud alle ultime elezioni politiche. Il dibattito sui risultati del governo vedrà confrontarsi numerosi frame. Come accade anche oggi, non ci saranno più una narrazione della maggioranza e una dell’opposizione, ma all’interno della narrazione governativa ci saranno due fronti di frame diversi. Probabilmente 5 Stelle e Lega, pur governando insieme, saranno uniti solamente nel voto contro l’Europa
Gemelli diversi: enfasi delle differenze Lega – 5S
Dunque, anche dentro la maggioranza di governo ci sono due fronti. 5 Stelle e Lega parleranno a due elettorati diversi, con due obiettivi diversi: per i primi, tornare a galvanizzare gli elettori che hanno dato loro fiducia il 4 marzo; per i secondi, consolidare i nuovi elettori conquistati dopo il voto di marzo. I 5 Stelle torneranno verso sud, la Lega sarà sempre più nazionale. I 5 Stelle proveranno a presentare risultati di bandiera, rivendicati come successi impressionanti dovuti al loro impegno, cercando di minimizzare l’apporto fondamentale degli alleati. La Lega, forte dell’immagine di Matteo Salvini, alzerà i toni, proverà ad avere respiro internazionale. Il rapporto tra Matteo Salvini e Marine Le Pen è infatti cambiato negli ultimi anni: da partner minoritario il primo oggi si presenta come forza di Governo e segretario del primo partito in Italia. Probabilmente, il primo leader populista europeo.
Il dilemma delle preferenze
La presenza o meno delle preferenze alle prossime elezioni (sono previste, ma circolano molte voci su presunte modifiche della legge elettorale per eliminarle) cambierà non poco la campagna elettorale. Se ci saranno, la composizione delle liste avrà un peso non indifferente sul risultato finale: il MoVimento ha dimostrato in più occasioni una certa difficoltà nelle competizioni con preferenze. I candidati, soprattutto nelle zone ad alto tasso di preferenza (cioè le regioni del sud), potranno portare un valore aggiunto non indifferente, e avranno il ruolo di intercettare le nicchie, oltre al voto d’opinione. Con liste bloccate, invece, la sfida sarà incentrata sul simbolo: e questo, in un momento così, aggiungerà un’ulteriore difficoltà a un partito – e un brand – in crisi come il Pd.
Ci saranno poi valutazioni politiche da fare per i partiti: che peso dare ai candidati delle minoranze? Possono essere problematici e aumentare il peso di eventuali fronde interne, ma dall’altro lato in alcuni territori portano un valore aggiunto nella capacità di mobilitare elettori disaffezionati o distanti. Per la Lega, il rischio possono essere Maroni e i maroniani, così come nei 5 Stelle sono i sostenitori di Fico a poter mettere in difficoltà Di Maio.
Video, video, video
Dal punto di vista più tecnico, si confermerà la tendenza dei candidati ad andare in video. Inoltre, ormai la pervasività dei social media è sulla bocca di tutti. E anche in questa tornata elettorale vedremo una predominanza di campagne social rispetto alle forme tradizionali. Primo, perché i social sono in generale meno costosi. Secondo, perché permettono di amplificare notevolmente la propria audience, rivolgendosi a nicchie di elettori, ad esempio quelli interessati a determinati micro-temi o residenti in alcune zone. Terzo, perché i social permettono di aggirare le leggi della par condicio, dando maggiore spazio a chi investe maggiori risorse e pubblicando contenuti anche a ridosso del silenzio elettorale.
Sarà, a questo proposito, curioso vedere se e come Facebook proverà ad arginare le immancabili polemiche alla vigilia di ogni elezione (o subito dopo). Comunque, ormai da tempo sui social si conferma l’esponenziale crescita di efficacia dei video, capaci di stimolare e raggiungere numeri impressionanti di persone, fino a sei volte di più di un normale contenuto. Complice anche la grande concorrenza che Facebook fa nei confronti di Youtube, la propagazione dei video è maggiore rispetto agli altri contenuti, di più facile fruibilità e più capace di attirare l’attenzione delle persone. Prepariamoci quindi ad un’ondata di video.
Saranno le elezioni europee più delicate e importanti della storia. La campagna elettorale sarà lunga, forse estenuante. E, forse, è già iniziata.