Ha fatto discutere, in questi giorni, il tweet di Elena Stancanelli su Simone, lo studente che dopo i fatti di Torre Maura ha tenuto testa ai militanti di Casa Pound. L’autrice scrive, infatti: «Per carità, il pischello di Torre Maura, che gli vuoi dire, coraggioso… ma che uno a quell’età non sappia parlare in italiano non vi fa impressione?». Segue una feroce polemica sui social, in cui si accusa la scrittrice di essere una snob di sinistra. E la stessa, a un’utente che l’accusava di «spocchia e superiorità», così risponde: «Perché mi dà del tu? ci conosciamo? Considerare disastrosa la situazione di un ragazzo di quindici anni che non sa esprimersi in italiano è spocchioso… benissimo! ma lasciamoli lì, a grufolarsi nell’ignoranza, cosa c’è di meglio per prepararsi a un futuro luminoso?»
Credo che i toni e le cose dette qualifichino tutti i diretti protagonisti di questa vicenda. Qui, vorrei sottolineare perché i tweet di Stancanelli possono essere bollati, niente di più e niente di meno, come infelici. Per una serie di ragioni. Prima, tra tutte, una probabile ignoranza sullo stato del repertorio dell’italiano, nel nostro Paese. E basta aver fatto bene le medie – e altrettanto meglio il liceo – per sapere che in quel calderone che noi chiamiamo “lingua” c’è dentro un po’ di tutto: dall’italiano delle grammatiche, a quello popolare. E sempre sui libri di grammatica, almeno quelli seri, ti spiegano che devi usare un registro specifico se scrivi una relazione, una tesi o un articolo di giornale. Mentre, puoi essere meno sorvegliato – più scialla, per dirla come i giovani – in situazioni informali.
Stancanelli dimostra, per dirla in italiano standard, di non conoscere quelle che in linguistica vengono definite varianti diatopiche e diastratiche. Parlando potabile, come dicevano i miei amici, giù in Sicilia, quando i giovani eravamo noi: si può parlare anche il romanaccio, a Roma est, perché è la lingua di quella gente, in quella zona. E da parte di chi produce letteratura e va nelle scuole a leggere libri, ci si aspetterebbe una maggiore attenzione e sensibilità, relativamente alla realtà linguistica – il repertorio, appunto – presente nel nostro tessuto sociale. Che è vario, plurale, molteplice – cioè: è ricco – e che andrebbe rispettato proprio per questo. Ma non è l’unico elemento di criticità.
C’è anche un discorso di opportunismo politico, vero e proprio. Opportunismo che va inteso nel suo significato più nobile: il senso dell’essere opportuni/e, visto il luogo e il momento. Simone non ha fatto solo un discorso di buon senso. Lo ha fatto, attraverso il linguaggio consono considerando l’interlocutore e la situazione – in linguistica si parlerebbe di dimensione diafasica – smontandone il portato retorico d’odio. A ben vedere, attraverso poche e semplici parole e grazie a un linguaggio colorato, per nulla volgare, ha fatto più opposizione quello studente in quei tre minuti di video che l’intero arco istituzionale e l’élite di riferimento negli ultimi tredici mesi. Sottolineare che il pischello non sa parlare è come guardare male il partigiano delle montagne che ti ha appena salvato da una squadraccia nazista solo perché ha le scarpe sporche di fango o la giacca con le cuciture. Ed è forse questo aspetto a giustificare chi definisce snob e arrogante un certo atteggiamento.
E poi c’è un terzo elemento, forse il più odioso: la pretesa che vivere in un quartiere “difficile” significhi essere ignoranti, destinati a un futuro poco luminoso. Sicuramente, Torre Maura fa parte di quelle periferie con diversi problemi, alcuni anche molto gravi. Ma perché questo dovrebbe tradursi, inevitabilmente, in un futuro di sfiga? Perché basta leggere ciò che ha scritto l’insegnante di italiano del ragazzo, su Facebook, per avere l’esatta dimensione della cosa: «Simone è un ragazzo come tanti. Parla e scrive un ottimo italiano in classe. Quella fierezza, quella capacità di controbattere a delle argomentazioni poco consone non solo nella sostanza, ma espresse anche in maniera volgare dal linguaggio del corpo, mi piacerebbe poter dire di avergliela trasmessa io anche in parte infinitesimale. Ma non è così. È tutto merito suo».
Insomma, tutta questa vicenda sembra lasciar emergere più i pregiudizi di chi occupa posizioni di privilegio, di chi è élite culturale e non riesce a vedere il Paese reale. Atteggiamento, questo, che potrebbe essere definito sic et simpliciter “analfabetismo sociale”. Lo stesso che, unito alla disattenzione dell’altra élite, quella della politica, regala le periferie all’estrema destra: quella nerissima, di Casa Pound, e a quella di palazzo e salviniana. E di fronte all’emergenza in corso, certa superficialità – insieme all’incapacità di saper leggere i fenomeni sociali e a una manifesta ignoranza su come si parla in Italia – quella sì che fa davvero impressione.