Patrick Modiano ha pubblicato alcuni anni fa un libro che ho conosciuto per caso, me ne aveva parlato un collega, e siccome sono pigro nel leggere romanzi ma amo camminare, l’ho dapprima ascoltato su Audible durante le mie passeggiate poi l’ho letto e poi di nuovo ascoltato, ma stavolta muovendomi negli stessi posti in cui si svolge la vicenda narrata: Boulevard D’Ornano, il XVIII Arrondissement, Drancy. Non è stato intenzionale, è stato un caso.
Ma la ragazza, non l’ho vista. Ho visto invece molti volti di persone – di differenti etnie e vestiti, odori, colori, accenti – che solo una grande metropoli sa accogliere e mescolare. Negli stessi giorni in cui in Italia la Lega faceva il pieno, pure la Francia con il Rassemblement National non scherzava (23,3 %). Vedere le persone che frequentano la linea del metro 4, che mi portava da Porte de Glignancurt a Chatelet, mi ammoniva di quanto il compito dell’integrazione non fosse solo un invito astratto, ma una realtà concreta, nel cuore dell’Europa. Ma di questo si sarà discusso abbastanza in Italia, no?
Il libro di cui vorrei parlare si chiama con un nome e un cognome: Dora Bruder (ed or. Gallimard 1997, nuova ed. 1999, tr. it. Guanda 1998, 2011).
Riguarda una ricerca, una investigazione quasi poliziesca, partita da un trafiletto di un quotidiano (nella foto qui sopra), e poi dipanatasi per anni, nella vita dell’autore, fino a diventare un non-romanzo, un documentario scritto, un laboratorio di microstoria. Modiano parla in prima persona, incrociando talvolta ricordi personali al racconto. Quello che colpisce è la cura maniacale dei dettagli: vie, nomi, registri di temperature, descrizioni di stagioni e ambienti differenti, plichi burocratici, protocolli amministrativi, documenti di polizia, tutto questo per ricostruire il buco, l’assenza, il trauma nella memoria e rendere nello sfondo, attraverso una storia esemplare, le storie dei 76.000 ebrei deportati dalla Francia nel periodo dell’occupazione tedesca. Si trattava di ridare volto a Dora, ma innanzitutto di trovarla. Era scappata dal collegio dove risiedeva, e i parenti stavano cercandola. La fotografia della copertina ritrae la ragazza, ed è stata trovata da Serge Klarsfeld, ma la essa non parlerebbe senza la ricerca dell’autore, che indica il contesto e riempie di significato quell’impressione momentanea, «resa eterna» dallo scatto. Rinvenire la traccia di Dora non è questione solo di immagini. Soprattutto, Modiano rende significanti i luoghi.
«Si dice che se non altro i luoghi serbano una lieve impronta delle persone che li hanno abitati. Impronta: segno incavato o in rilievo. Per Ernst e Cecile Bruder [i genitori], per Dora dirò: incavato» (p. 26).
Mi sono ritrovato a camminare negli stessi posti dove ha vissuto Dora, ero nella città della Senna, per un corso organizzato da un gruppo di studiosi coordinati dalla professoressa Laura Fontana del Mémorial de la Shoah di Parigi. Il caso ha voluto che il mio albergo fosse proprio a Boulevard D’Ornano. Chi leggerà il libro capirà che è un asse centrale della vicenda.
Così come Drancy, il campo di transito dei deportati, a pochi km dal centro di Parigi, per cui passò anche Dora. Tra l’agosto del 1941 e l’agosto del 1944, 64 convogli, vagoni merci contenenti una media di 1000 persone, partirono da qui per raggiungere i campi di Sobibor (una piccola parte) e Auschwitz (la maggior parte)
Oggi il quartiere simbolo di Drancy (il rettangolo di edifici continui in stile razionalista costruito tra il ’32 e il ’36 con funzione di edilizia popolare, e poi adibito dai tedeschi occupanti a camp d’internement), esiste ancora, ed è abitato da persone in stato di necessità. Il sito del Memoriale, sezione distaccata dell’Istituto parigino di documentazione, cerca di rispettare il più possibile il nuovo contesto urbanistico e abitativo. A segnalare il luogo dell’Internamento vero e proprio, una statua, una bandiera della Francia e un vagone piombato. Ma vedendole persone che abitano qui oggi, si può intuire che probabilmente di quella storia non sappiano molto, o sappiano molto poco. Bambini che escono da scuola, genitori che li accompagnano, una donna in hijab seduta su una panchina…
Proprio le cose che ci sono più prossime facciamo fatica a conoscere. Luoghi e persone lontani ed estranei, talvolta, ci diventano familiari. Questa è stata la mia esperienza. E non solo. Posso ipotizzare che, forse, niente è straniero per chi si trova su un treno senza neppure più una fotografia in mano. Senza sapere perchè è stato preso, e dove si sta dirigendo quel convoglio.
Vi consiglio il libro. Parla di una fuga, di un inverno, di una perdita e di un ritrovamento. Questi quattro elementi hanno dimensioni diverse, ma lo spazio in cui si trovano è delimitato da un nome e da una fotografia.
Chi ha perduto quel che tu hai perduto
mai fa sosta,
perché dinanzi all’inverno
tu pazzo, sei scappato nel mondo? (Nietzsche)
Dove sei ora Dora?