Il film inizia con una vista di un parco londinese, dall’alto. Un parco periferico, Richmond o Wimbledon Common. Forse Mitcham. Quelle aree che si aprono all’improvviso fra case popolari e villette a schiera, nella parte di Londra che si estende verso la Green Belt, ma non lo e’ ancora.
Il film inizia con una canzone di Kathryn Johnson, Mountain. Un testo che parla di picchi innevati e di nostalgie varie, di terre lontane e di spazi terribili perche’ immensi e sproporzionati. Luoghi spesso difficili da immaginare in questa conurbazione che si estende come una pianta infestante, dalle mura romane della City, fino al Campo di Cesare, o come chiamano a Wimbledon una collina che, si dice, ospitasse un forte romano duemila e passa anni fa. Fino a Downs del Surrey o ai canali attorno a Cambridge.
Il film inizia e potrebbe gia’ finire, perche’ e’ il film in cui non ci sono storie, ripreso da un libro dove non ci sono racconti o narrative. Un libro dalle pagine bianche, o, forse, ingiallite dal sole. Il film della fine di tutte le storie, il momento preciso in cui tutto quello che era possibile raccontare e’ stato raccontato, scritto, bloggizzato. Il film che racconta quell’istante di verita’ in cui si riconosce che non esiste piu’ spazio per altre parole stampate, non ci sono piu’ memorie disponibili che non siano una ripetizione, una forma di reinventarsi di altre narrazioni. Tutto ripreso, rimescolato, remixato, reso nuovo ogni volta. Il mondo che si rende conto di essere di fronte ad uno specchio, in cui ha continuato a riflettersi, a gioire di un nuovo abito recuperato dai cenci del passato, come si faceva a Prato fino a poco tempo fa. Cicli e procicli. La maledetta spirale del tempo e dello spazio.
Il film poi mostra strade di campagna, villaggi perduti fra le montagne e le pianure europee, incluse le isole, le isole britanniche ed italiane. Un mondo dove la natura sta riprendendosi il suo posto, con piante che escono fuori dalle crepe delle strade, fiori che colonizzano i cortili e i balconi. Un mondo senza storie ed uomini. Senza bambini che giocano e che si rincorrono nelle strade di quartiere, un mondo senza leggende, narrative, senza ideali da difendere, perche’ non ci sara’ nessuno a farlo. Il film racconta un mondo vuoto, inutile, dove nessuno si mettera’ a sedere in cerchio a cantare il Maggio, quel momento della sera d’estate quando gli anziani si sedevano a far fresco fuori casa, su sedie di vimini o impagliate con fili di plastica colorati.
Il mondo del film che andra’ in scena e’ quello di un mondo che si e’ chiuso, che ha barricato la sua esistenza dentro confini, barriere e regole impossibili da rispettare. Non quelle della generale convivenza e dei mercati, ma le regole autoimposte sulla morale eterodossa, i confini che distinguono fra cittadini di serie A, B, C ed apolidi. Quando, alla fine, si nasce tutti in terra di nessuno.
Il film si potrebbe chiamare ‘Le terre vuote’, campagne non coltivate, alberi che si spezzano sotto il peso della varianza cromosomica che li fa produrre troppe mele o pere. Senza qualcuno che li raccolga. Serre di pomodori e fragole che esplodono per la pressione tropica delle piante. Un mondo disabitato, sepolto da strati di rabbia e di intolleranza. Il mondo vuoto in cui l’Europa diventa una cattedrale di silenzio, se non fosse per i frusci e versi degli animali e lontane esplosioni di centrali nucleari e dighe abbandonate in cui la fisica e l’usura seguono pedissequamente le leggi della fisica.
Il film, la fine delle storie, la fine delle cose nuove con cui rinvigorire la narrativa di questo spazio miracoloso dove tutto, un tempo, poteva accadere, dove le idee si scontravano e creavano mondi nuovi. Invece, ci siamo arresi all’immanenza della fine della filosofia, per rendere ancora una volta l’ideologia ottusa della razza sovrana. E questo ha reso la societa’ e poi le citta’ inabitabili. La fine delle storie, la fine delle narrative possibili. E questo film si potrebbe gia’ girare ora, in una domenica oziosa di inizio giugno, in cui tutto si ferma e le strade sono deserte. Un fine settimana post-rock, post-elettorale, post-tutto, mentre ancora cerchiamo disperatamente di capire di cosa siamo pre.
Il film potrebbe chiudersi con le coste europee ridefinite di nuovo dalle correnti oceaniche, dai ghiacciai che si sciolgono e rendono le pianure di nuovo paludi , con canotti e gommoni di plastica ad ornare le spiagge come rosari dolorosi di un cambiamento che abbiamo respinto al mittente. Eliminando il futuro in cambio di una nostalgia impossibile per un passato mai accaduto.
Soundtrack:
Kate Tempest – Firesmoke
Kathryn Joseph – Mountain