Sono le ultime ore prima del grande showdown al Senato per il premier Conte a cui viene data finalmente la “parola” dopo aver in qualche modo subito dal suo stesso ministro dell’interno (non dimissionario…) la più surreale crisi di quest’agosto politico alla fine del quale, osservando il susseguirsi degli eventi, l’unica cosa certa è che l’operazione di Matteo Salvini è stata degna di un kamikaze autolesionista.
Relativamente a quel che ancora sapevamo dai manuali di tattica politica, a meno che non venga pubblicato uno nuovo e fulminante in grado di spazzare le logiche fin qui acquisite, resterà un mistero ineffabile quanto masochista l’accelerazione del capo della Lega, un incredibile pressing che lo ha portato – senza freni – dritto dritto verso un frontale distruttivo.
La domanda è come sia stato possibile per il Capitano autoinabissarsi nel mare dell’irrilevanza portando la nave del suo consenso a infrangersi negli scogli come uno Schettino qualunque; e lasciando oltretutto il timone del paese a tutti gli altri? La risposta a questo interrogativo forse non lo sapremo mai oppure c’è chi azzarda con ironica perfidia ad a dire che l’insensatezza vada ricercata nella richiesta di pieni poteri da parte di colui che li aveva già. Sul web poi – ironicamente – tutto è ricondotto a una sorta di ebbrezza incontrollata di Salvini nel furore dei sondaggi dopo la sua “woodstock” a Milano marittima, dopo aver letto gli oracoli del popolo osannante dentro i bicchieri dei tanti (troppi) mojito presi al Papeete Beach, una spiaggia balocca e galeotta, tanto effervescente quanto emblematica per la biografia politica di Salvini.
Suggestioni? Mah vedremo.
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Ad oggi comunque vale sempre la “regola” che chi si alza dal tavolo del gioco della politica successivamente non può più lamentarsi se gli altri giocatori non gli passano più le carte. E Salvini – mi sia permesso pensarlo – da giorni non ci dorme la notte per lo sbaglio commesso, un errore a cui (sempre pensiero mio) si aggiunge quella sensazione di mancato perdono, quel senso del non-ritorno per cui qualcosa si è rotto anzitutto in Salvini e forse tra lui e il paese. Qualcosa – insomma – che ci porta ad evocare l’epigrafe delle torri campanarie di molte chiese e che ricorda a tutti quanto tempus irreparabile fugit e per certe avventure in politica non ci sono giravolte di ritorno. Ciò detto Salvini ha energie da vendere ma da quel che si intravede all’orizzonte sembra (condizionale d’obbligo) mettersi male per lui nell’immediato.
La crisi di questi giorni segna – se non ci fosse stato bisogno ma è meglio ricordarlo – l’abissale distanza paradigmi politici che ostinatamente i leader hanno messo dolosamente in campo, cocciuti nel confondere l’elettorato accostando carne e pesce sulla stessa tavola. Vale per Salvini ma anche per Di Maio o Renzi ci si accanisce nel vivere in una bolla di maggioritario finto presidenziale laddove si sta beatamente (non so fino a che punto) nel più puro dei sistemi proporzionali e parlamentari per cui se vale la legittimità dell’alchimia innaturale gialloverde non si capisce perché si debba condannare la possibilità di un’intesa giallo-rossa (Pd e 5Stelle) per quanto questa seconda ipotesi governativa è nei contenuti improbabile quanto la prima. Oltretutto in punta di risultati elettorali delle scorse politiche sarebbe stata giustificabile proprio questo scenario di accordo non solo per i numeri usciti dalle urne (la Lega arrivò terza) ma anche per inconfessabili e potenziali convergenze tra i dem e i grillini rigettate da entrambi per ragioni di contrapposizione shakespeariana (ce li vedete Renzi e Di Battista insieme?).
Se ci si focalizza quindi sul paradigma delle maggioranze parlamentari, sta nello sforzo dei diversi trovare una sintesi per negoziare un accordo di governo; in questo senso l’atteggiamento aventiano che fu dei grillini nerl 2013 (ricordate lo streaming con Bersani?) non sembra essere assunto dal partito democratico anche se può prestare il fianco alle critiche. C’è chi vede già un fallimento a quest’ipoesi ( Panebianco scrive per un patto di legislatura occorrerebbero i partiti di massa di un tempo. I partiti-marmellata che li hanno sostituiti, senza più insediamento (o con un insediamento fragile) e privi di coesione, non sono in grado di fare niente del genere. Ma altri guardano al giallorosso come una soluzione possibile per il PD che solo oggi può entrare nell’area governativa dopo un logoramento dei grillini durato 14 mesi scivolati da prim a terzi nei sondaggi e dopo collaborazione sofferta con la Lega.
E visto che non va di moda ma proprio per questo me ne vanto, in termini politici il successo politico va a Matteo Renzi il quale rischiando il prezzodi strali futuri (si legge a più riprese la domanda ma non dicevi #senzadime ?) spiazza Zingaretti costringendolo a dare una mossa alla propria segreteria rassicurante ma fin qui onestamente poco incisiva
Lui, Renzi, spergiura di essere guidato dall’interesse comune (no aumento dell’IVA ) e non da logiche personali. Lo speriamo per lui e tutto il Pd poiché se si dovesse costruire una casa senza mobili e quindi un governo di ripicca antileghista, senza un programma coraggioso per il paese e di riconciliazione sociale allora Salvini si prenderebbe prima o poi una meritata rivincita bulgara e in quel caso del Pd e del M5s non resterebbe più traccia.
In definitiva dopo settimane a disquisire sul chi il presidente della Repubblica Sergio Mattarella si trova a dover far entrare nella testa dei leader in campo la madre di tutte le questioni afferibili ad un governo ovvero il cosa fare per il Paese.
E su questo il dramma di Matteo Salvini ci sta tutto e per intero: ha preferito inebriarsi anziché inebriare.