Non molto bene se lo spiego
ne frego
con quel che piace a me.
Il canto fascista, nel pieno regime dell’autarchia linguistica, instaurato nel Ventennio, ben rese orecchiabile il tonante Me ne frego del Duce. Assai diverso dal francamente me ne infischio di più internazionali memorie cinematografiche.
Oggi nel nostro Bel Paese, con l’assoluta ignoranza dei precedenti storici, chi ha figli ha assistito a un rigurgito del mio nuovo carico , in versioni che di autarchico hanno la forza dell’impatto mediatico. E così fu il Ca ‘che me ne frega di Rovazzi, echeggiante fra le pareti domestiche, subito parafrasato nello sfidante Chissene! ad opera della prole mefistofelica.
Da motto squadrista, patologicamente virile, al moto di una generazione che rischia di rimanere immobile, perché priva di parole cariche di senso.
Il chi se ne frega, il precedente di una “e” a mo ‘di sospiro, l’ho proposto come soluzione gratuita femminile contro tutti gli stereotipi. Contro tutto ciò che non è essenziale e che ci allontana dal profondo significato della nostra vita. Un #echissenefrega di leggerezza.
Ancora più interessante, oggi, è piuttosto scegliere di mettere una “o”: oppositiva, alternativa, decisiva. Op tare per l’alternativa de I Care di Don Milani. Il messaggio che ancora oggi campeggia su una parete della scuola di Barbiana. Il motto della migliore gioventù americana, come spiegò Don Milani, che significa “Mi sta a cuore”. Una presa di consapevolezza sociale, ma prima di tutto umana. Straordinariamente attuale. Dai migranti alla questione ambientale.
Così le nostre mura di casa da oggi potranno echeggiare del nostro tonante: I Care!