Buona e mala politicaComunicazione e migrazioni, una terza via tra apocalittici e lassisti è possibile.

Note a margine della conferenza euro-mediterranea ad Atene (11 e 12 novembre) su questo tema Stefano Rolando Come feci a settembre del 2018, in occasione della prima conferenza euro-mediterra...

Note a margine della conferenza euro-mediterranea ad Atene (11 e 12 novembre) su questo tema

Stefano Rolando

Come feci a settembre del 2018, in occasione della prima conferenza euro-mediterranea su “comunicazione ed emigrazioni” svolta a Tunisi sotto l’egida della UE, insieme all’agenzia europea (con sede a Vienna ) ICMPD, al Club di Venezia (rete comunicazione istituzionale UE), con la collaborazione dell’OIM (Organizzazione internazionale delle migrazioni) e al governo tunisino, anche ora, a margine della seconda conferenza svoltasi ad Atene l’11 e 12 novembre – con il governo greco invitante che ha sostituito quello tunisino – vorrei fare qualche annotazione su queste pagine.

Prima di tutto per la pertinenza assoluta del tema migratorio con il titolo di questa rubrica (Buona e mala politica), quindi per lo stretto rapporto che la gestione di una storia antica, drammatica e al tempo stesso naturale, come è la storia migratoria , dipende da volontà di poteri che con una mano governano i bisogni di libertà e di sviluppo e con l’altra mano governano paure, rancori, diffidenze e pregiudizi che covano nella società e che sono parte della rappresentanza che quella società chiede.

In secondo luogo per l’apprezzamento che è principalmente dovuto alla specificità del lavoro che svolge (a Vienna e in molte sedi euro-mediterranee con proprie antenne) ICMPD (International Centre for Migration Policy Development, creato con il sostegno dalla UE dall’ex ministro degli Esteri austriaco Michael Spindelegger) di lavorare (con ricerca e con iniziativa di responsabilizzazione) sul nesso con la complessità della rappresentazione del tema migratorio (media, comunicazioni, opinione pubblica) fornendo il polso sia della realtà che della percezione dei fenomeni. Per esempio nel recente rapporto Euromed su comunicazione e migrazioni si legge un costante cambio di atteggiamento dell’opinione pubblica europea – forse reattivo al modo manipolatorio e drammatizzato con cui la politica anti-migratoria ha trattato il tema – verso “una minore negatività, con elementi di accoglienza e comprensione crescenti” (dettagliate tabelle al riguardo frutto di indagini plurinazionali).

Giornalisti e comunicatori, approcci diversi

Sia a Tunisi che ad Atene si guarda al ruolo di mondi professionali diversi in campo: da un lato i giornalisti, che operano per uno spettro di testate distribuite attorno ad una grande diversità di tipologie, di lingue, di destinatari e di obiettivi editoriali; dall’altro lato i comunicatori al servizio di istituzioni internazionali, nazionali e locali, che prima di tutto sono inquadrati in una domanda di prestazioni che come è ovvio è largamente influenzata dalla politica che governa quelle istituzioni. E poi, a loro volta, da un approccio a un fenomeno globale di immensa portata (oscilla attorno ai 250 milioni di persone la mobilità planetaria annuale determinata da cause di sofferenza) destinato a provocare narrazioni di segno spesso opposto e quindi anche comportamenti degli operatori pubblici che seguono politiche di protezione, difesa e spesso di contrasto; oppure politiche ispirate ad una cultura dell’accoglienza pur sempre esercitata in un quadro di controllo.

In questo genere di conferenze si coglie che nella polarizzazione – propria sia della politica che delle professioni comunicative – che si è formata clamorosamente anche nell’ultimo decennio, con al centro la grande impennata dei numeri delle migrazioni tra il 2014 e il 2016, esiste – come pratica professionale e obiettivo deontologico – una “terza via”. Costituita da un approccio in cui prevale lo studio realistico delle dinamiche e delle cause, che portato ad attenta descrizione e a diffusione delle conoscenze, introduce un raffreddamento della radicalizzazione di tesi apocalittiche; e dall’altra parte induce il sistema dell’informazione e della comunicazione a passare dalla narrazione di fenomeni globali di massa che si prestano a racconti inquietanti a storie che investono persone che oggi sono l’oggetto di una attenzione giornalistica più frequente.

Storie che dovrebbero essere anche oggetto di una relazione meno burocratica e più legata agli obiettivi gestionali della soluzione delle crisi da parte di operatori pubblici. I quali in alcuni contesti assumono la veste di qualificati operatori della relazione sociale (che naturalmente non può e non deve escludere il controllo), mentre in altri contesti continuano ad assumere la sola veste degli operatori della sicurezza, quindi agenti di polizia messi in campo più per fornire un’immagine di rassicurazione ai cittadini che per entrare in una logica di servizio in un fronteggiamento socialmente più umano e soprattutto più funzionale.

La “terza via” si poggia sulla cultura del dato

La “terza via” è quella in cui la cultura del dato prevale sempre. Dunque il ruolo della statistica diventa centrale anche nelle funzioni informative e comunicative, non favorendo – come invece assistiamo dappertutto – al prevalere di una rappresentazione dominata dai dati percettivi e quindi dalla tecnica dei sondaggi. Anche in questo caso l’idea di mettere al centro i cittadini-elettori rispetto agli stessi numeri della realtà, corrisponde ad un contenimento psicologico di cause che impattano indubbiamente con abitudini e sistemi autoprotetti. Ed il dato demoscopico ha dunque una sua valenza rivelatrice sempre utilizzabile. Ma se quel dato moltiplica a dismisura la situazione reale senza contrasto, si entra nel campo regolato da un lato nella irrazionalità e dall’altro lato nella manipolazione.

Anche per questa ragione l’assemblea dei partecipanti alla conferenza di Atene (da molti paesi europei, e da quasi tutta la linea geografica nord-africana del Mediterraneo, compresi i libici, i palestinesi e gli israeliani) ha ascoltato con interesse non solo esperti e studiosi, ma anche delegati in grado di fornire elementi circa il cambiamento di politiche di informazione politica e di comunicazione pubblica che sono state molto incidenti nei rapporti internazionali recenti. E’ stato il caso dell’intervento della delegata italiana – funzionaria della Presidenza del Consiglio dei Ministri – che è stata portavoce della linea interpretativa dell’attuale ministra dell’Interno prefetto Lamorgese e che ha quindi esordito con la valutazione di “nessuna invasione” ascoltata con interesse dall’uditorio per come la posizione italiana fino a poco tempo fa si era fatta sentire in Europa e nel Mediterraneo come posizione di “attacco all’invasione in atto”. Colpisce come la posizione italiana di discontinuità anti-migratoria abbia turbato gli ambienti internazionali che si occupano con competenza tecnica della materia, per la centralità geopolitica dell’Italia nelle questioni e per il violento scarto comunicativo che ha messo in campo in così poco tempo. Così come colpisce l’apprezzamento per un certo ritorno alla “normalità” di posizioni responsabili.

Cruciale appare anche il ruolo del nuovo governo dell’Unione europea che tuttavia ad Atene non ha mostrato il segno di decisi cambiamenti. Il contesto ancora fortemente divaricato tra i paesi membri e le turbolenze non cessate circa gli assetti della Commissione hanno reso questa voce ancora molto prudente e su alcuni aspetti anche vaga circa i molti nodi da sciogliere per fare pensare ad una politica più attiva e condivisa. In particolare rispetto ad attitudini come quella del discutibile pagamento miliardario al governo turco per tenere fermi i flussi, almeno di provenienza sud-est.

Il Club di Venezia – attore nuovo e assai utile in questo campo – ha operato con la propria regola dell’informalità tesa ad armonizzazione deontologica e professionale sulla materia migratoria con molti eventi di confronto di esperienze. Continuerà a farlo, a cominciare dalla prossima conferenza annunciata a Venezia il 5 e il 6 dicembre (sempre che la gravissima vicenda dell’acqua alta trovi un suo rapido ritorno alla normalità). Insieme al sostegno verso la centralità della responsabilità statistica, tanto chi qui scrive (in veste di presidente) quanto il segretario generale Vincenzo Le Voci hanno avuto modo di esprimersi per migliorare – con il sostegno di una rete universitaria europea che ormai affianca abitualmente i lavori – la specifica formazione degli operatori attorno a questioni che trovano miglioramenti applicativi solo grazie a una più diffusa cultura generale delle dinamiche reali e delle cause.

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