Strani giorniRestare a casa e l’abisso democratico tra obbedire ciecamente e rispettare le leggi

Chi ha visto il film Frankenstein di Mary Shelley, diretto e intepretato da Kenneth Branagh, ricorderà la scena dell'esecuzione di Justine. La donna, dolce e pacifica, è una delle domestiche della ...

Chi ha visto il film Frankenstein di Mary Shelley, diretto e intepretato da Kenneth Branagh, ricorderà la scena dell’esecuzione di Justine. La donna, dolce e pacifica, è una delle domestiche della famiglia Frankenstein che la comunità ritiene colpevole di infanticidio. I protagonisti della storia sanno che il bambino è stato ucciso dal “mostro”, ma per una serie di fatti che sarebbe troppo lungo riportare qui, si pensa che la colpevole sia lei: la povera Justine. La quale viene portata dall’autorità costituita – e con la forza fisica – al patibolo e, con processo sommario, viene impiccata di fronte alla folla inferocita. A nulla valgono i tentativi del dottor Frankenstein e della sua compagna di salvare la ragazza. Il popolo ha già deciso. E il potere precostituito esegue la sentenza.

Questa scena è utile per riassumere un certo clima generale che si sta vivendo nell’Italia flagellata dal coronavirus. Ho già discusso dell’odio riversato contro i runner e, più genericamente, verso chiunque esca da casa. Il clima di caccia alle streghe ha generato una situazione per cui, ormai quotidianamente, ci si erge a difensori morali di comportamenti ritenuti più o meno ideonei. La valutazione di tali comportamenti non si basa, tuttavia, sull’osservanza dei decreti e delle norme igienico-sanitarie, ma sulla propria concezione di sicurezza. Poco prima che scrivessi questo pezzo, il mio vicino di casa, affacciato al balcone, ha gridato a una donna di tornarsene a casa. La donna ha fatto giustamente notare che non era a zonzo, ma stava facendo la fila per entrare al supermercato. Per il simpatico urlatore, che gridando ha chiamato a raccolta l’attenzione di tutto il vicinato, ciò non faceva alcuna differenza: quella donna non doveva essere lì. C’era l’evidenza, inoppugnabile: era fuori. E da lì a stabilire una sentenza – sei a zonzo inutilmente, per cui ti punisco con l’urlo purificatore – il passo è stato immediato. Meno male che nel nostro paese non sono più di moda le esecuzioni in pubblica piazza.

Questo clima è per altro alimentato dal sistema dei media e da una classe politica che non si interrogano a sufficienza, o almeno così pare, sulle responsabilità politiche dello status quo, ma che puntano il dito, riguardo la responsabilità e la gestione dell’emergenza, sui comportamenti privati dei singoli cittadini. Francesca Fornario, sul suo profilo Facebook, riprende Gaia Tortora che in diretta TV rimprovera una coppia che va a fare la spesa, restando mano nella mano. «Ora, colleghi» scrive la giornalista, «io non vorrei che qualcuno di noi, abituato al trilocale con doppi servizi e alle sue relazioni coniugali spolpate dall’ansia a performare sul lavoro, stia SERIAMENTE pensando che in questi giorni le coppie stanno mantenendo la distanza di sicurezza TRA LORO, all’interno del monacale in cui vivono, nel loro angolo cucina, magari la sera dopo essere rientrati in metro dal lavoro». Ora, è chiaro che le misure di contenimento sono più che necessarie. Ma urlare dai balconi di stare a casa a chiunque si vede in giro per strada non è di utilità alcuna. Serve solo ad esacerbare gli animi. E non fa alcuna differenza che ad urlare sia un personaggio pubblico, da una ribalta mediatica nazionale, o un cretino qualsiasi che non sa distinguere tra fare la fila per approvigionarsi di cibo e starsene a zonzo ad alitare sulle persone.

Anche Stefano Bonaccini, il riconfermato governatore dell’Emilia Romagna, non ha resistito a questo richiamo: «Se qualcuno mi viene a spiegare che rinunciare al jogging se non si è in sicurezza è un problema drammatico, lo prendo con me e lo porto a vedere i reparti ospedalieri». Su queste parole si è espresso il collettivo Wu-Ming: «Questo è un chiaro esempio di bullshit, nella precisa accezione proposta dal filosofo americano Harry J. Frankfurt: un’affermazione che non è vera né falsa ma soltanto non-pertinente e insensata. Siamo di fronte a una variante del notissimo imperativo: “Mangia anche se non ti piace, ché in Africa i bambini muoiono di fame!”, il più noto esempio di collegamento para-logico dall’esito inutilmente colpevolizzante, dal quale, plausibilmente, sono derivati solo disturbi dell’alimentazione». E dal politico che doveva fare la differenza tra il buon governo della sinistra e l’apocalisse leghista scampata per un pelo, ci si aspettava sinceramente qualcosa di più (per la cronaca: non voto Lega e men che mai partiti di destra).

Tale diffuso atteggiamento paternalistico è anche stato denunciato da un articolo di Nadia Urbinati, sul suo blog ne Huffington Post. Commentando le uscite del governatore Fontana «di fronte ai numeri dei contagi che non scendono» e che «minaccia misure ancora più restrittive», l’autrice così si esprime: «Come mio padre si rivolgeva a me bambina, così Fontana si rivolge ai lombardi: “Amici, se non la capite con le buone bisognerà essere più aggressivi. I numeri non si riducono […]. Per ora lo chiediamo, se si dovesse andare avanti chiederemo al governo di emanare provvedimenti più rigorosi”. Che provvedimenti saranno quelli “più rigorosi”? Che cosa c’è di “più rigoroso” dell’uscita con autocertificazione solo per i casi concessi?». Forse l’esercito in strada? Ma non è questo il vero focus del pezzo di Urbinati.

«Sembra di capire che la responsabilità di tutto ricada sui cittadini – abituati alla loro libertà, che reclamano il bisogno di fare un po’ di moto» dice ancora la studiosa di Political Theory alla Columbia University. «Dove sta la responsabilità delle istituzioni che oggi minacciano di prendere misure ancora “più rigorose”? Vi è amnesia delle scelte prese in un recente passato, scelte che hanno maltrattato e indebolito il sistema sanitario pubblico? Parliamo, per esempio, delle scelte della Regione Lombardia. Secondo i dati del Ministero della Salute (consultabili sul web) l’anno 2017 mostra questo: i ventilatori polmonari erano 1 ogni 4.130 abitanti in Lombardia; 1 ogni 2.500 in Emilia-Romagna; 1 ogni 2.250 abitanti in Toscana, e 1 ogni 2.550 abitanti in Veneto. Il rischio di collasso del sistema è già contenuto in questi numeri».

Lo stesso Bonaccini, aggiungo io, così sollecito a proferire affermazioni tanto populiste (magari cogliendo il plauso delle masse affacciate ai balconi) quanto prive di efficacia concreta (per non dire di logica) – perché vorrei davvero vederlo a portare decine e decine di persone in luoghi in cui è semplice entrare in contatto con il virus – avrebbe potuto prima, negli anni passati, farsi un giro per degli uffici del suo partito, a chiedere con lo stesso furor come mai anche il Pd in vent’anni ha tagliato posti letto e chiuso ospedali. E se quel giro lo avesse fatto anche per i corridoi degli uffici degli altri partiti, forse oggi riusciremmo a fronteggiare meglio questa emergenza. Non risolverla come se niente fosse, non penso questo. Ma, forse, ad affrontarla meglio.

Per concludere, il mio pensiero su questa calamità è molto chiaro. Le restrizioni vanno osservate – io per primo, che fino a qualche giorno fa mi concedevo due volte a settimana di marcia veloce vicino al parco di casa ho smesso di farlo, pure potendo uscire a norma di legge – e ne va del bene collettivo. Ma è anche un nostro diritto chiedersi se un certo tipo di narrazione e di eccessi conseguenti non siano qualcosa di cui poter (e dover) discutere. Perché, nonostante le restrizioni sugli spostamenti, rimaniamo sempre in uno stato di diritto. E la politica (così come i media) non dovrebbe alimentare certe pulsioni moralistiche, che a lungo andare possono sgretolare il tessuto sociale. Occorrerebbe invece assumersi le proprie responsabilità. Responsabilità, per altro, è una parola che ci riporta al verbo “rispondere”. Quando l’emergenza sarà finita, l’intera classe politica dovrà rispondere non solo di come è stata affrontata la situazione, ma di come siamo arrivati a fronteggiarla: con quali risorse e con quali limiti. E qualcuno dovrà dare risposte di vent’anni e oltre di tagli e depotenziamento del sistema sanitario nazionale.

Chi fa scelte politiche ha l’autorità, dunque, di limitare la nostra libertà in caso di emergenza. Così è, a questo ci atterremo. Ma il piglio moralistico e la retorica di una classe politica e dei media, che qualcosa da farsi perdonare ce l’hanno anche loro, diventano insostenibili. Facciano, politici e giornalisti, il loro lavoro (prendere decisioni e informare) e non i moralizzatori. Invitino a rispettare le norme e le misure di sicurezza. Evitino però frasi ad effetto e dita puntate, che non aiutano nessuno. Questo è il loro compito. I cittadini e le cittadine, dal canto loro, osservino i decreti per il bene pubblico e per la sicurezza individuale e collettiva. Ma mantenendo sempre occhio vigile e spirito critico sulla qualità della nostra democrazia. Tra l’osservanza delle norme e la cieca obbedienza c’è un abisso. Ed è lo stesso tra stato di diritto e stato totalitario.

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