L’emergenza di questi giorni con tutte le sue conseguenze – dover stare a casa, evitare i luoghi affollati e gli assembramenti insieme a molto altro ancora – interrompe la nostra quotidianità. Al punto tale che ci fa vivere, contro voglia, quel futuro distopico tante volte visto in film e serie tv americane (e non solo). Con la differenza, però, che quel “futuro” nel frattempo divenuto presente non è connotato da un destino tragico che doveva compiersi e dal quale emerge la figura di un eroe assoluto che fa la differenza tra un prima e un dopo (si pensi a Will Smith in Io sono Leggenda o a Brad Pitt in WWZ). Si profila, invece, il dramma di una comunità che ha sì le sue figure eroiche – una tra tutte, l’infermiera stremata sulla tastiera del suo computer, dopo turni massacranti di lavoro – ma che si interroga sul come vivere il momento, tra comportamenti virtuosi e immancabili errori, nell’attesa che la normalità ritorni.
Come evolverà l’intera vicenda, al momento, non è dato saperlo. Ci si augura, ovviamente, che l’emergenza rientri al più presto e che i danni – sia alla salute delle persone, sia all’economia – vengano contenuti quanto più possibile. L’unica cosa che possiamo fare, per ora, è quella di cercare di ancorarci al senso di realtà quanto più possibile. Cercando di costruire, tutti e tutte noi, una struttura in quella che dovrà essere la nostra nuova quotidianità. Fatta di impegni nuovi – o di vecchi impegni da riprogrammare alla luce degli eventi in essere (si pensi a come si stanno riorganizzando le scuole, per garantire presenza e vicinanza a milioni di giovani e alle loro famiglie) – e di buone abitudini da adottare per affrontare il periodo che si pone dinnanzi a noi, nelle prossime settimane.
Alcune soluzioni? La lettura di libri (amo vedere le bacheche di amici e amiche riempirsi di titoli, di copertine e suggerimenti) può essere una valida alternativa alla noia. Ma anche cucinare, per sé e i propri cari. O vedere telefilm e altre pellicole, rispolverando magari anche i giochi di società. Trovare un aggancio con un qui ed ora – e quindi con un presente – che scegliamo di vivere in un certo modo, invece di subirlo e basta. Personalmente, in quella che è la mia normalità, c’è lo studio: soprattutto quello delle parole e dei suoi significati. Complice la lettura di un volume molto bello Le parole sono importanti, di Marco Balzano, sull’importanza dell’etimologia e su come il significato vada oltre i confini del termine in sé e ciò che evoca, in un primo momento, fino a comprendere significati ulteriori.
Credo, e mi scuso per la lunga ma doverosa premessa, che dischiudendo il significato di alcuni termini – soprattutto quelli legati al momento in questione – si possano avere alcune chiavi interpretative in più per dominare la fetta di esistenza che siamo chiamati ad abitare. E quindi, vorrei soffermarmi su alcune parole, apparentemente sinistre, che dominano le cronache dei giornali, i discorsi sui social, le quattro chiacchiere che ancora scambiamo se incontriamo qualcuno al supermercato, fosse anche soltanto la persona addetta alla cassa, con cui condividere fugaci opinioni. E queste parole sono: “emergenza” e “contagio”. La prima è una diretta conseguenza della seconda, sebbene sia la seconda a determinare la prima. Ma voglio sceglierle proprio secondo quest’ordine e cercherò di chiarire al meglio il perché.
Emergenza deriva dal latino EMERGENS, participio di EMERGO. Questo verbo è composto a E (“da”, “fuori di”) e MERGO, ovvero “gettare in acqua”, “fare affondare”. Suggerisce l’idea di qualcosa che, una volta fatta andar giù torna indietro e viene fuori. Riaffiora. Emerge, appunto. E, quindi, diviene visibile. Non è forse ciò che è successo al VIRUS (parola altrettanto latina, seppur anglicizzata, anche per merito del linguaggio dell’elettronica e che significa “veleno”) che dopo che è sprofondato nelle nostre vite è riemerso, attraverso il “contagio” e generando, inevitabilmente a questo punto, l’emergenza in questione?
«Ciò che emerge, cioè, con la bella immagine dell’etimologia, ciò che esce all’improvviso dalla superficie calma delle acque» ci ricorda il sito Una parola al giorno, «poteva essere tanto qualcosa di bello e fortunato quanto qualcosa di pericoloso e catastrofico. È stato il naturale polarizzarsi delle parole neutre – così come la fortuna latina è diventata positiva, e la crisi greca è diventata negativa – che ha portato ad un significato scuro, forse sotto la particolare influenza dell’inglese [emergency], usato come eufemismo per allarme. Resta comunque decisivo un connotato: l’emergenza è improvvisa».
La natura dell’imprevidibilità, come molte altre cose per altro che ci riguardano anche da prima che si fosse a conoscenza della loro esistenza, dovrebbe aiutarci ad accettarne l’incedere nelle nostre vite. E, di conseguenza, lo stand by in cui è caduta la nostra quotidianità nelle ultime settimane. Non perché sia qualcosa da accettare stoicamente, né va vissuta come una delle tante minacce che il destino ha deciso di far cadere sulle nostre vite. E, a tal proposito, diffidate di quei predicatori che sui social così come per strada (pare che siano spuntati, a predire apocalissi prossime venture) intravedono i segni di una fine inevitabile o l’hybris da scontare per aver offeso l’unico dio possibile. Nella storia dell’umanità le epidemie – la peste, se preferite – rappresentano un fenomeno che si è presentato con una sua cadenza. Non che la cosa debba piacerci, insomma. Ma è un deja vu finora affrontato nei capitoli de I promessi sposi o del Decameron e nelle pagine dedicate sui libri di storia. Adesso, purtroppo, tocca a noi.
E a noi tocca evitare e/o gestire il contagio. Parola che deriva da CUM + TAGO, ch a sua volta si lega a TANGO, ovvero ad un verbo che indica il contatto. Non è un caso che dall’unione di CUM e TANGO derivi, opportunamente cambiato secondo le regole della fonetica latina, il verbo CONTINGO che dà CONTACTUS. Il contagio, insomma, richiama la sfera tattile. Se tocco ciò che è infetto, toccato dal virus – ciò che è avvelenato, in altre parole, dal morbo – vengo contagiato, ovvero vengo “toccato dal male”. E anche in latino, CONTINGO significa non solo toccare, ma anche contaminare. Per questa ragione è bene evitare i contatti e mantenere distanze di almeno un metro: per scongiurare quel contagio che nel suo significato più profondo indica un toccarsi vicendevolmente le cui conseguenze sono nefaste. Per questa ragione sono sconsigliati, anzi vietati, gli assembramenti. Parola, assembramento, che ha origini francesi, che richiama l’assemblea ovvero l’unione di più persone. E che trova origine antica nel latino SIMUL, lo stesso. Unire gli stessi che, inevitabilmente, entrano in contatto (appunto).
Eppure, così come “emergenza” non aveva un significato necessariamente negativo – ma rievocava l’emersione dalle acque di qualcosa che era prima finito in mezzo – allo stesso modo non dovremmo lasciare che il virus (doppiamente velenoso) trasformi il contatto (umano) in contagio (o infezione). Ed è qui che entra in gioco la nostra capacità di fare delle scelte. Scegliendo, appunto, il presente che ci è dato da vivere e inserendovi noi il significato che vogliamo dargli. Possiamo evitare il contagio, ma possiamo scegliere un altro tipo di contatto umano: quello determinato dall’empatia e dal nostro senso di umanità più profonda. Mantenendo, per ora, le distanze di sicurezza (così come previsto dai decreti in vigore). Ma non dimenticando che possiamo rimanere in connessione, altra parola che si lega al contatto (e torna prepotentemente il linguaggio dell’informatica e dei nuovi media). Una connessione che non deve essere solo on line, che pure aiuta, ma che deve sintonizzare le nostre coscienze. Anche la letteratura ci viene incontro, con quell’allegra brigata – e torna il Decameron – che trova la gioia di vivere, attraverso la bellezza creatrice della parola, isolandosi ed evitando il contagio, ma mantenendo i contatti umani più profondi.
Abbiamo le tecnologie e il corredo di saperi che ci aiutano a fare questa differenza. Sta poi alla ricchezza, di cui siamo portatori e portatrici, costruire quella differenza. E sì, forse divenire eroi di noi stessi/e, segnando un discrimine tra un prima – che è il presente che stiamo attraversando – e il dopo, ovvero il futuro che sceglieremo a partire da adesso.