Strani giorniO principesse o donne in fuga: quando anche i libri di testo sono sessisti

I libri di testo adottati nelle nostre scuole sono sessisti. Con il rischio che proprio l’istituzione che più di tutte dovrebbe contribuire alla formazione civica di allievi e allieve – in nome del principio di uguaglianza presente nell’articolo 3 della Costituzione Italiana – divenga un veicolo di trasmissione di stereotipi di genere e pregiudizi. La denuncia arriva da Cristiano Corsini, sul profilo Facebook. Professore associato di Pedagogia sperimentale e valutazione scolastica a Roma Tre, porta alla nostra attenzione la lettura di un quesito tratto da Fisica, Teorie, Esperimenti. Corso di fisica per il primo biennio (SEI edizioni).

Così è riportato nel testo in questione: «Dopo un litigio, una coppia si separa bruscamente e la ragazza parte con la sua automobile alla velocità di 68,4 km/h diretta verso casa, che dista 14,25 km, mentre il ragazzo, dopo aver esitato per 3,0 min, decide di inseguirla. Qual è la minima velocità a cui deve andare per raggiungerla prima che lei entri in casa?». Un apparente e banale problema da risolvere applicando regole matematiche. Ma sul quale emergono non poche criticità. A cominciare dal linguaggio adottato. Ricostruiamolo insieme: dopo una lite, una coppia si separa. Lei va via, lui rimugina un po’. E decide non di andare da lei, fosse anche per rimediare al litigio in un eccesso di romanticismo, ma di inseguirla. L’inseguimento apre nella nostra mente l’immagine di qualcuno che scappa da un luogo che non doveva lasciare e di qualcun altro investito del dovere di riacciuffarlo.

L’inseguimento – che risveglia scenari non proprio rasserenanti e allude a scopi non pacifici – non sembra funzionale a chiarire posizioni, a chiedere scusa, a rimediare al torto. Lui deve raggiungere lei «prima che lei entri in casa». La mente ritorna, purtroppo, ai numerosi casi di aggressione da parte di uomini contro donne che si ribellano a situazioni familiari tragiche, a relazioni opprimenti, a rapporti tossici. E la cui dinamica è tristemente nota: lui attende sotto casa lei. E spara. O strangola. O ancora picchia selvaggiamente. Uccide, in ogni caso. Certo, nel quesito proposto non c’è traccia alcuna di tutto questo. Ma la descrizione di quanto accade sembra far da cornice a presupposti molto cupi, inquietanti, che hanno fatto da sfondo ai numerosi femminicidi che popolano la nostra cronaca nera.

Processo non nuovo, nella scuola italiana, quello volto a «normalizzare e rafforzare pregiudizi, stereotipi, luoghi comuni e rapporti di potere» precisa Corsini. «È una cosa vecchia e nota: se prendete i “problemi” di matematica del fascismo trovate contadini comunisti scansafatiche, surclassati da fascisti operosissimi, e quel che rimane è solo da calcolare quanti comunisti servono per fare il lavoro di un sol fascista». Cambiano i protagonisti di una narrazione, insomma, ma non il modo di narrare. «Lì c’era un orrore da propagandare. Qui, la faccenda è più sottile» precisa il professore: «Qui, c’è un orrore da conservare». Corsini conosce l’obiezione al suo ragionamento: «Magari il maschio vuole raggiungere la ragazza non per picchiarla, ma per rappacificarsi», ammette, ma «per quel che ne sappiamo, molto probabilmente è quel che direbbe lui, almeno stando alle cronache dei femminicidi».

Non è la prima volta che l’accademico analizza il fenomeno. In uno studio condotto insieme a Irene Dora Maria Scierri, intitolato Disuguaglianze e stereotipi di genere nei sussidiari dei linguaggi per la scuola primaria, si mette in luce il fenomeno, sotto il profilo qualitativo e quantitativo. I due studiosi hanno evidenziato, ad esempio, come nei libri scolastici per allievi e allieve più giovani i protagonisti delle storie sono al 65% di sesso maschile. E quel che è peggio è che il ruolo riservato alle donne, a partire dal 2000, si è ridotto ulteriormente. Ciò non aiuta a raggiungere quella parità di genere che dovrebbe essere un valore fondante dei nostri istituti scolastici.

Il grado di criticità non si limita solo alla presenza, ma anche alla «collocazione dei protagonisti nello spazio, con particolare riferimento alla dicotomia spazio aperto/spazio chiuso». Infatti «sul totale dei racconti con protagonisti maschili» si legge nella ricerca, «questi si trovano prevalentemente in spazi aperti; al contrario, le protagoniste femminili si trovano collocate principalmente in spazi chiusi». Ciò rispecchierebbe, per lo studioso e la studiosa, «un modello di genere tradizionale per cui il genere maschile è libero di muoversi in diversi ambienti, legati anche ad attività più dinamiche […] mentre il genere femminile resta confinato» in «una dimensione più quotidiana e domestica».

Altre criticità vengono riscontrate nelle professioni. Secondo lo studio, le donne sono relegate a mestieri di cura o a ruoli fiabeschi. Per cui i bambini e le bambine che impareranno a leggere e scrivere nelle nostre aule, apprenderanno da subito che le donne possono essere in misura maggiore maestre, casalinghe, mamme oppure principesse e regine, magari al seguito di principi che le hanno baciate mentre dormivano o che le hanno sposate dopo aver passato in rassegna l’intero reame per far loro indossare scarpe di vetro. Una prospettiva non proprio all’insegna dell’autodeterminazione.

E ancora, per quanto riguarda gli attributi fisici «il genere femminile viene caratterizzato in base alla sua dimensione estetica più di quanto non avvenga per quello maschile». Insomma, a ingegneri, astronauti e medici non viene chiesto di essere anche belli. Le donne presenti nei libri di testo stanno chiuse in casa, a prendersi cura della famiglia e hanno il dovere di essere belle. Soprattutto se vogliono essere principesse – ma la domanda è: vogliono? – e meritare di “vivere per sempre felici e contente“.

Riepilogando: uomini in gamba e liberi di andare ovunque e di far ciò che vogliono, da una parte. Donne remissive, al chiuso e destinate al lavoro domestico o al ruolo da migliori attrici non protagoniste. Non stupisce poi se l’attuale panorama politico, culturale e sociale ha grosse difficoltà a pronunciare al femminile ruoli di prestigio, come “ministra” o “deputata”, o professioni ritenute tradizionalmente maschili, come “ingegnera” e “avvocata”. «Il sessismo tiene botta» conclude Corsini nella sua denuncia «perché è una realtà puntellata giorno per giorno, a casa e a scuola. Chiedere a ragazze e ragazzi di calcolare la velocità alla quale un maschio deve raggiungere una ragazza che da lui fugge è un modo come un altro per insegnare loro a chiudere gli occhi sulla realtà che subiscono». Ed è proprio in questo collegamento tra quotidianità e insegnamento il punto nevralgico su cui intervenire.

«Quella di impiegare azioni e situazioni legate alla vita quotidiana come sfondo per porre domande scolastiche è una scelta che nasce dal tentativo di ricollegare alla realtà quello che viene insegnato» precisa ancora Corsini. «È una scelta che però comporta alcuni rischi. In particolare, se non si presta la dovuta attenzione, può comportare la riproposizione di iniquità che effettivamente sono estremamente diffuse». Non solo: se «inquadrate per di più entro la cornice ufficiale e formale dei libri di testo» possono essere «normalizzate e, di fatto, giustificate e rafforzate». Usare una realtà sessista, razzista, omofoba – in altre parole – per esemplificare questioni complesse, rischia in altre parole di permettere a certa subcultura di innestarsi nelle coscienze degli individui.

In altri termini: la scuola dovrebbe essere il laboratorio per edificare una società più libera, democratica, equa. E non il palcoscenico di stereotipi che ripropongono se stessi, impedendo alla collettività di progredire. Se c’è qualcosa che andrebbe inseguito, in buona sostanza, prima che entri nella dimora delle nostre coscienze è proprio questa narrazione precostituita. La stessa basata su quei luoghi comuni e pregiudizi che, come abbiamo avuto modo di vedere, agiscono a discapito di categorie più vulnerabili. E le cui conseguenze, lo leggiamo quasi quotidianamente, possono essere molto pericolose. Spesso anche tragiche.

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