Il 24 luglio scorso, più di 70 giornalisti della testata ungherese, Index.hu, hanno rassegnato le loro dimissioni per protestare contro le interferenze della proprietà del giornale nelle scelte editoriali della redazione.
Il fatto, oltre a creare un mezzo terremoto politico-sociale nel Paese, ha goduto di una vasta eco internazionale. Index.hu è uno dei media più seguiti da cittadini ungheresi, nel paese e all’estero, ed era uno dei poche realtà indipendenti attive nel Paese, non legate, quindi – direttamente o indirettamente – al governo ungherese, guidato dal primo ministro Viktor Orbán. Inoltre, Index.hu è il simbolo di una generazione, quella che ha visto la nascita di internet in Ungheria, a fine anni ‘90.
Ma come si è arrivati a tanto? Come si è arrivati alle dimissioni in tronco di 70 e rotti giornalisti? La mossa della redazione, guidata dalla vice-caporedattrice Veronika Munk, è arrivata due giorni dopo il licenziamento del caporedattore di Index, Szabolcs Dull. A sua volta, il licenziamento di Dull è legato, a stretto giro, a un cambio di proprietà della testata, avvenuto a marzo di quest’anno.
In Primavera, infatti, Miklos Vaszily, un imprenditore vicino a Orbán, è riuscito ad acquisire la società che controlla di Index, compromettendo, secondo Dull, l’indipendenza della testata. Il giorno stesso delle dimissioni di gran parte della redazione, nella capitale ungherese, si è svolta una manifestazione in difesa della libertà di stampa e contro il governo ungherese.
Index come ultimo caso: le ragioni dietro al tramonto della libertà e del pluralismo della stampa in Ungheria
Agli occhi di una maggioranza di analisti europei e internazionali, il tramonto di Index – per come era stato conosciuto -, rappresenta l’ultimo episodio emblematico della rovina del settore dei media in Ungheria.
Da tempo, infatti, l’Ungheria è diventata la pecora nera in Europa in termini di libertà e pluralismo dei media. Lo testimonia l’ultimo rapporto annuale World Press Freedom Index di “Reporters without borders”, peraltro stilato prima dei fatti legati a Index.
L’indice misura il grado di libertà di stampa nel mondo e, negli ultimi sette anni, l’Ungheria è passata dal 56° all’89° posto. Come è potuta cadere così in basso il paese magiaro? Sono due i processi che spiegano il trend. Ed entrambi hanno a che fare con la storia e politica del Primo ministro ungherese, Viktor Orbán.
Come spiega Szabolcs Vörös, fondatore del magazine online indipendente Valasz, Orbán, ha maturato un’esprienza fondamentale prima di arrivare al potere (per la seconda volta, nel 2010 – da allora, non ha mai person un’elezione politica nazionale):
«Negli anni ‘90 all’opposizione e, successivamente, tra il 1998 e il 2002, al governo Orbán si è dovuto relazionare con un fronte mediatico che, per il 70-80 per cento, era – per dirla con le parole del Primo ministro stesso -, “liberale-di sinistra”. Quindi la conclusione di Orbán è stata la seguente: “Se non costruisco una struttura simile a quella dei miei avversari, non ho speranze”. Ed è ciò che ha fatto durante gli 8 anni all’opposizione, tra il 2002 e il 2010».
Dopo la prima esperienza di governo (1998-2002), assai moderata peraltro, e volta a facilitare l’ingresso del paese nella NATO e nell’Ue, Orbán ha iniziato una vasta operazione di acquisizione di testate giornalistiche in via indiretta, tessendo un network di rapporti con oligarchi ungheresi, grazie a Fidesz – partito di cui è leader indiscusso e fondatore.
Una volta tornato al potere, nel 2010, come spiega ancora Voros, Orbán ha fatto un salto di qualità: «Una volta tornato al potere, Orbán ha allargato la sua visione, prendendo anche possesso dei media pubblici e delle testate regionali».
Come ha fatto? Lo spiega il professor Zsolt György Balogh, professore associato all’Università Corvinus di Budapest: «Un punto di svolta è stata la riforma della Costituzione del 2012. Il nuovo testo, infatti, contiene delle norme generali sulla libertà di espressione e della stampa. E sulla base di questa nuova Costituzione, il governo ha poi legiferato con due provvedimenti. Sono gli atti che ancora oggi regolano il settore della comunicazione».
A partire dalla riforma costituzionale del 2012 – la stessa che ha centralizzato l’organizzazione dello stato e minato l’indipendenza della Corte suprema -, Orbán è riuscito ad allargare la sua influenza indiretta non soltanto sul mercato – attraverso il già citato modello di capitalismo clientelare che ha coinvolto oligarchi -, ma anche su istituzioni pubbliche del mondo dei media: l’Autorità nazionale dei media e dell’informazione, l’Agenzia stampa ungherese MTI e la Fondazione per il servizio di informazione pubblica.
Insomma, nel corso degli ultimi dieci anni, l’Ungheria è caduta in basso negli indici di libertà di stampa e di pluralismo dei media internazionali perché Orbán ha, contemporaneamente, operato lungo due binari paralleli: il controllo degli organi di comunicazione pubblici e l’acquisizione e concentrazione di quote di mercato mediatico nelle mani di persone a lui molto vicine.
I numeri dell’impero di Viktor Orbán
Nel 2017, secondo Marius Dragomir, direttore del Center for media, data and society della Central European University, il 90 per cento dei media ungheresi era nelle mani di alleati di Fidesz. Un impero mediatico che comprende ogni singola testata regionale del Paese.
Un paio di anni fa, lo European Journalism Centre (EJC) di Maastricht, citava come indipendenti, oltre a Index, altre 8 testate tra online e cartacei, settimanali e quotidiani. Sempre secondo l’EJC, l’unico canale televisivo nazionale che segue le attività del governo con una prospettiva critica è il canale commerciale di proprietà tedesca, RTL Klub.
Proprio per lo condizioni in cui versa il settore dei media del paese, il Freedom Index del think tank liberale Freedom House, da derubricato l’Ungheria a stato “parzialmente libero”. Molto spesso, negli articoli dei media occidentali si parla poi di “autarchia”, sottintendo il potere illimitato del Primo ministro Orbán.
Ma il potere di Orbán dipende soltanto dal controllo dei media? E il paese è veramente un’autarchia?
Il potere di Orbán dipende veramente soltanto dal controllo dei media?
Secondo Tamás Kugyela, corrispondente di Index a Bruxelles dal 2014 al 2019, ciò che descrive in maniera più accurata la situazione è il pensiero di uno dei più famosi analisti politici ungheresi, Gábor Török: «Török ha detto che il sistema ungherese somiglia più a un antico regno medioevale, nascosto dietro al set della democrazia di massa. Perché così tante cose dipendono, personalmente, dal Primo ministro. Orbán ha costruito un sistema di potere non sulla base della legge, ma sulla base del suo carisma, della paura delle persone, del rispetto che queste ultime nutrono nei confronti dei successi del governo di questo partito».
Già, perché, sebbene se ne parli poco nei media dell’Europa occidentale, Orbán è considerato un politico di successo in patria. È ancora Kugyela a spiegare, nel dettaglio, perché: «Ci sono segmenti della società che valutano in maniera molto positiva l’operato di questo governo. Per esempio, c’è chi ha beneficiato molto di uno schema di sussidi famigliari che lo stato ha messo in piedi. Ci sono le persone che sono molto contente della flat tax, una delle prime misure di Fidesz dopo il 2010. E c’è stata una campagna impressionante per abbattere i costi delle utenze legate alle abitazioni, una mossa che è stata apprezzata da molte persone».
Ma anche al di là di settore specifici, ci sono altri elementi che vanno sottolineati e che aiutano a capire la popolarità di Orbán tra i cittadini ungheresi: «Questo governo supporta molto le minoranze ungheresi che vivono fuori dal paese, si tratta di milioni di persone che sono state trascurate per centinaia di anni. Inoltre, in termini macro-economici, l’economia non è mai andata così bene. Questo fatto viene ribadito spesso dalle persone al governo. Ed è vero. Casomai, la domanda da porsi è la seguente: come sono riusciti a ottenere questo risultato? È merito del governo? O è soltanto connesso alla congiuntura positiva, che ha fatto seguito all’ultima crisi economico-finanziaria?».
Ovviamente, tutto questo non toglie che lo stato ungherese si sia tramutato in un giocattolo del partito Fidesz e di Orbán.
Inoltre, alla popolarità di Fidesz e Orbán, va aggiunta anche una scarsa fiducia, da parte della popolazione nei media e nel giornalismo. Secondo Vörös si tratta «di una delle categorie professionali del paese in cui le persone ripongono meno fiducia. Credo siamo allo stesso livello dei politici stessi».
Perché? Vörös fa un paragone con gli Stati Uniti: «Prendiamo come esempio il The New York Times. A nessuno verrebbe in mente di negare che, da un punto di vista giornalistico, si tratti di un’istituzione che ha fatto qualcosa di veramente importante per il paese nel corso degli ultimi decenni. Noi non abbiamo istituzioni di questo tipo. Voglio dire che le persone credono che i media che leggono diano, sempre, a livello di principio e a seconda degli schieramenti, o una prospettiva corretta o una sbagliata. E non esistono canali per connetterli. Quindi, metà del paese crede che i media dell’altra parte siano interamente mendaci, e viceversa»
Infine, sebbene esistano associazioni di rappresentanza della categoria, si tratta di strutture che sono sopravvissute all’epoca comunista e che, quindi, vengono interpellate con poco entusiasmo dagli stessi media indipendenti che si ritrovano sotto attacco da parte di Orbán.
Quale futuro per i media indipendenti in Ungheria?
Qual è il futuro del settore dei media in Ungheria? Secondo il prof. Balogh lo scenario è preoccupante: «Certamente esistono media indipendenti, ma, in generale, hanno perso terreno. Oggi, dopo quel che è successo a Index, esistono soltanto due o tre piattaforme significative. Stanno combattendo la loro ultima battaglia per la sopravvivenza, in maniera disperata».
Eppure, proprio dal quasi-monopolio potrebbe partire un effetto boomerang. Secondo Tamás Kugyela, «il governo ha difficoltà ad assumere persone giovani, brave bella comunicazione, che possano lavorare nelle testate controllate dall’esecutivo, direttamente o tramite gli uomini d’affari. E, a dire il vero, ci sarebbe bisogno che persone non disposte a prendere ordini politici riempissero le televisioni e i giornali. Se ci fosse un numero sufficiente di persone di questo tipo, per il governo diventerebbe difficile utilizzare questa macchina comunicativa che sono riusciti a mettere in piedi nel corso degli anni».
Il ruolo dell’Unione europea
Secondo il professor Balogh dell’Università di Corvnius, il destino dell’Ungheria passa anche per le decisioni che vengono prese a Bruxelles in seno alle istituzioni europee. Infatti, l’Unione europea distribuisce ai Paesi dell’Est e, quindi, anche all’Ungheria, ingenti risorse, nel quadro del suo Quadro di finanziamento pluriennale, più genericamente definito budget europeo.
«L’Unione europea dovrebbe lavorare all’implementazione di un meccanismo efficace per assicurare il rispetto dello stato di diritto. Si tratta di un processo di lungo termine. Ma credo che sia l’unica speranza. Le risorse che vengono dall’Ue sono state benzina per questo regime. Non credo in un cambiamento di atteggiamento spontaneo da parte del Primo ministro, o del suo partito. Nel lungo periodo, soltanto il cambio di passo dell’Unione europea, del suo sistema politico, potrebbe stimolare una trasformazione positiva in Ungheria», spiega Balogh.
Insomma, creare un meccanismo che vincoli l’elargizione di questi soldi al rispetto di principi basilari di rispetto dello stato di diritto, potrebbe essere una mossa rilevante che toglierebbe il tappeto sotto ai piedi al governo ungherese – ovviamente fintanto che non decida di aggiustare il tiro sugli assetti istituzionali del paese.
A dire il vero, di tutto ciò si è discusso – e anche ampiamente – nel mese di luglio, durante le negoziazioni legate al piano di ripresa economica post COVID19 che è, a sua volta, connesso alla definizione del budget pluriennale europeo. Ma nel mare magnum dei compromessi europei, proprio questa opzione è stata scartata. Oggigiorno, a negoziazione conclusa, è soprattutto il Presidente francese, Emmanuel Macron, che continua a insistere che sia necessario costruire un tale meccanismo.
Europa Reloaded è una serie podcast prodotta da Bulle Media in collaborazione con fanpage.it e Cafébabel.com, grazie al supporto della European Cultural Foundation (ECF).