In un video diventato virale di qualche anno fa, un cliente entrava in un negozio e chiedeva un Iphone4. Il commesso rispondeva di non averne disponibili ma si premurava in ogni modo di esporre le alternative, anche a condizioni migliori. Il cliente però sembrava non sentire e continuava a ripetere: “Voglio un Iphone4”.
Si dice che il video fu ideato da un dipendente di un negozio di elettronica per prendere in giro i fan Apple, sempre alla ricerca dell’ultimo modello senza mai prendere in considerazioni le reali caratteristiche e le alternative sul mercato.
Ma il punto è proprio questo: le persone non acquistano i prodotti migliori, comprano i prodotti che capiscono meglio.
La grande sfida
“In un negozio di alimentari era stato allestito un assortimento di 24 barattoli di marmellata di gusti diversi, e in altre occasioni soltanto di 6. I consumatori tendevano più facilmente a fermarsi ad assaggiare quando il tavolo era colmo di opzioni, ma difficilmente poi acquistavano. Più raramente si sono invece fermati al banco da 6, ma quando è accaduto, hanno comprato 10 volte più spesso.”
Sopra la sintesi di uno degli esperimenti classici del “sovraccarico da eccesso di opzioni disponibili” (choice overload): più opzioni ci confondono e siamo arrivati da tempo in una situazione di sovraccarico cognitivo.
Uno studio più recente, del 2018, apparso su Nature ha indagato il fenomeno dal punto di vista neurologico. L’esperimento è un po’ più elaborato: i ricercatori hanno presentato ad alcuni volontari serie da 6, 12 o 24 immagini di paesaggi da cui scegliere una foto che avrebbero potuto stampare su una tazza. Durante la fase decisionale, sono stati monitorati con fMRI, che ha rivelato attività in due regioni cerebrali: la corteccia anteriore cingolata, che pesa costi e benefici delle scelte, e lo striato, una parte del cervello che dà giudizi di valore. L’interazione tra queste due aree rilevata dalla risonanza indica, spiegano gli scienziati, una valutazione in atto: il cervello soppesa la potenziale ricompensa (una bella immagine da stampare) con la fatica necessaria a vagliare tutte le opzioni. Questa attività è parsa massima nel caso della serie da 12 e minima in quelli delle serie da 6 e da 24. Mano a mano che le scelte a disposizione aumentano, infatti, crescono sia le potenziali ricompense, sia il lavoro di cernita da fare. Allo stesso tempo, il “salto” tra 12 e 24 non dà benefici tali da contrastare lo sforzo, già considerevole, di scegliere tra molte alternative.
La ricerca è raccontata su Nature, sopra una versione semplificata tratta da Focus.
La conclusione di questo studio può sintetizzarsi in “sì, un po’ di fatica nella scelta ci vuole”.
Ma che tipo di impegno dobbiamo richiedere e “aiuta” chi deve scegliere?
Un esperimento molto più concreto è quello condiviso da Patrick Spenner e Karen Freeman su Harvard Business Review. In due negozi vengono presentate in modo diverso fotocamere digitali.
Nel negozio “A”, le etichette sugli scaffali elencano gli attributi tecnici chiave, come la valutazione dei megapixel e la memoria, e forniscono un codice QR che porta i consumatori a una versione mobile del sito web del marchio, dove possono approfondire le specifiche del prodotto.
Nel negozio “B”, le caratteristiche tecniche vengono espresse in termini non tecnici. Invece di enfatizzare i megapixel e la memoria, ad esempio, dice quante foto ad alta risoluzione si adattano a quella specifica scheda di memoria.
Le informazioni altamente dettagliate del negozio A possono istruire il consumatore sulle capacità di una data fotocamera, ma fanno ben poco per facilitare una decisione facile. Il negozio B semplifica il processo decisionale offrendo informazioni affidabili su misura per le esigenze individuali del consumatore, aiutandolo così ad attraversare il percorso di acquisto in modo rapido e sicuro. La nostra ricerca mostra che i clienti siano più soddisfatti dal negozio “B”.
La ricerca di sopra è presentata in “To Keep Your Customers, Keep It Simple“, apparsa su Harvard Business Review. Nel testo sopra è stata presentata una versione molto semplificata.
Quando è la nostra storia ad essere il prodotto
La stessa logica si applica al modo in cui raccontiamo le nostre storie e all’impatto su chi le ascolta. Una riflessione “semplice” e potente è quella proposta tempo fa da Sam Horn.
Sam stava lavorando con un dirigente, mortificato dal fatto di non riuscire mai a raccontare la sua storia e ottenere un reale interesse dalle persone.
“Gestisco un’azienda tecnologica ma non riesco mai a spiegarlo in un modo che la gente lo capisca. È così imbarazzante, preferisco semplicemente evitare di raccontarlo. ”
Sam allora iniziò a fare alcune domande dirette sino a quando non apprese che il suo lavoro aveva a che fare con qualcosa legato ai software e alla sicurezza degli acquisti on line. A quel punto disse: “Se dici alle persone che realizzi il software che rende sicuro l’acquisto di cose online, loro diranno’ Oh,” e quella sarà la fine della conversazione. Prova invece a chiedere se hanno mai acquistato qualcosa on line, su piattaforme come Amazon o E-Bay?
A quel punto, puoi semplicemente dire “è esattamente quello che faccio! La nostra azienda produce il software che rende sicuro acquistare su queste piattaforme.”
Come nel caso dei prodotti, il successo sta nel ricondurre la nostra storia a quella delle persone. Non si tratta dei nostri prodotti o dei nostri servizi ma di come questi impattino nelle vite dei nostri clienti.
(Quasi) niente di nuovo
La semplicità come leva nel marketing non è un concetto nuovo. Da anni è evidente che le aziende che prosperano sono quelle che rendono la vita facile ai propri clienti e molte altre aziende sono nate non immettendo nuovi prodotti ma aiutando a semplificare l’utilizzo di quelli esistenti. Pensa ad esempio a TripAdvisor che aiuta a consultare in modo più semplice le recensioni delle persone sui locali dove mangiare, Booking e altre Ota che non solo aiutano a risparmiare ma a velocizzare la ricerca e l’acquisto di alloggi. La stessa Amazon deve il suo successo a questa logica: aiutare le persone ad acquistare in modo semplice ciò che è già sul mercato ma presentato in modo confuso (i sistemi di recensioni, la logistica, la politica sui resi, sono ulteriori semplificazioni).
Il Covid-19 però ha reso ancora più urgente ragionare in questa direzione, creare prodotti e servizi semplici e che semplificano, raccontarsi nel modo “più semplice” possibile.
Con così tante complicazioni che la pandemia ha portato nelle nostre vite, con incertezza sul futuro e risorse economiche sempre più ridotte, ogni scelta diventa più difficile e più importante.
Anziché inseguire la perfezione e cercare di migliorare continuamente la nostra offerta, la sfida è e sarà sempre più chiarire e semplificare.
Perché le persone non acquistano i prodotti migliori, comprano i prodotti che capiscono meglio. E quelli da cui si sentono capiti.
Davide Cardile – Thinking Partner e Story Strategist
Da circa dieci anni, il suo lavoro riguarda le storie. Aiuta a pensarne di nuove (nuovi sviluppi di carriera, nuovi mercati, nuovi modi per connettersi con le persone) a scrivere e diffonderle (libri, blog, ebook, presentazioni, pitch & speech, forme strane per parlare alla gente…). E, come tutti, prova ogni giorno a scrivere e vivere la sua. Maggiori informazioni su davicardi.com