Questo Referendum, totalmente anaffettivo, comunque vada non sarà un successo. E mi pare di capire che ci ritroveremo in una situazione lose-lose nella quale tutti perdono, sia i sostenitori del sì (cinquestelle) che quelli del no ( compresi quelli che non lo dicono nemmeno sotto tortura come Renzi, Zingaretti e Salvini, insomma tutti gli altri).
Ho sempre votato le riforme costituzionali (e sono ancora un indeciso e lo sarò fino all’ingresso della cabina elettorale) per cui nei prossimi giorni mi metterò in discernimento ovvero se farmi guidare dall’approccio cosiddetto “chirurgico” ( che partendo da una riforma parziale apra la strada ad una stagione di cambiamento strutturale delle nostre istituzioni) oppure attendere come lo fu per la proposta Boschi-Renzi del 2016 un progetto “globale” di riforma costituzionale.
Riavvolgendo il nastro della storia, fu proprio questo il nodo problematico di quella sconfitta referendaria accusando Renzi di aver oscurato il cosa a favore del come personalizzando la competizione sprecando in questo modo la legittima aspirazione a superare il bicameralismo perfetto (legittimo e sacrosanto) e superare – la penso ieri come oggi – una virtuosa reazione a catena di cambiamenti successivi (dialogo tra parlamento forte e governo decidente, rafforzamento della presidenza della repubblica, chiamata alla responsabilità dei territori con il senato delle regioni).
Bene, ma a questo punto mi chiedo – con i piedi ben interrati sulla “res” referendaria – come un parlamento tagliato in quantità possa essere considerato un indicatore di qualità. A naso la risposta è negativa visto che attualmente le due Camere si limitano a ratificare passivamente decisioni del governo. Non mi vengono in mente leggi in queste legislature concepite e passate al crogiolo del dibattito parlamentare, in discordanza alle dichiarazioni dei leader sul ruolo del parlamento. Abbiamo certamente visto migliaia emendamenti omnibus così eterogenei da irritare il Quirinale al momento della firma e promulgazione delle norme (come per il recente DL semplificazioni e le varie manine posate su tutto per complicare anziché snellire).
Ma da qui al taglio numerico senza una proposta di qualità il salto è rischioso. Rispetto ai tanti condizionali si intravede la certezza che questa è stata la prima ma anche l’ultima fase politica tripolare della nostra storia repubblicana considerato il fallimento politico del populismo sia penta-stellato che leghista. Entrambi questi movimenti sono stati una parentesi devastante per il paese e ci hanno condannato ad un vuoto cosmico insopportabile per un paese come il nostro così ricco di potenzialità ma anche di contraddizioni. Personalmente credo che la golden age del populismo truce-algoritmico debba finire quanto prima e lasciare lo spazio ad un ritrovato e sano bipolarismo tra conservatori e progressisti veri e autentici, capaci di offrire soluzioni alternative ma solide al paese, senza pressapochisti e incapaci a cui dare le chiavi del destino italiano ed europeo.
Detto ciò, tanti dubbi a favore di un NI che vince mentre tutti avranno poco di che gioire. E’ il grillismo, bellezza. Prima finisce meglio è per l’Italia.