Il libro
Edwin Chota ha abbandonato la famiglia e le comodità cittadine per andare nel cuore della foresta, trasformarsi in un leader indigeno e combattere il disboscamento illegale presso la comunità di Saweto, fino a quando non è stato ucciso a colpi d’arma da fuoco dai trafficanti di legno. Máxima Acuña, contadina tra le montagne e le lagune di Cajamarca, nelle Ande peruviane, si rifiuta tenacemente di abbandonare ciò che considera di sua proprietà, nonostante sulle sue terre incomba il progetto di una miniera per l’estrazione dell’oro. Osman Cuñachí, undici anni, membro della nazione indigena più numerosa della foresta settentrionale del Perù, è apparso in una foto che ha fatto il giro del mondo e che lo ritrae sporco di petrolio dopo aver recuperato il greggio, fuoriuscito da una conduttura, che ha inquinato il fiume del suo villaggio, lì dove la sua etnia ha da sempre nuotato e pescato. Joseph Zárate, uno dei più importanti esponenti del giornalismo narrativo in lingua spagnola, con questi tre profili racconta la storia di altrettanti materiali – il legno, l’oro e il petrolio – che hanno caratterizzato le vicende di un continente, il suo passato di terra di conquista e il suo presente neoimperialista, divenendo simboli del progresso, metafore “che parlano di conflitti umani provocati dalla collisione tra diverse visioni dello sviluppo”.
La mia lettura
Quando ho finito di leggere Guerre interne del giornalista Joseph Zárate ho riflettuto a lungo su quanto poco sappiamo di quello che succede nei Paesi dell’America meridionale, si consumano tragedie quotidiane che compaiono fugacemente nei servizi dei nostri telegiornali ed è obiettivamente difficile tenersi aggiornati leggendo la stampa internazionale. Mi sono sentita in colpa, mi sento inadeguata in questa veste di chi si appresta a dire qualcosa su vicende di estrema gravità allo scopo farsi amplificatore e convincervi a informarvi, a leggere Guerre interne.
Guerre interne è diviso in tre parti, sono tre storie raccontate con un impeccabile stile giornalistico privo di inutili orpelli, di giudizi o condanne o opinioni personali, è una cronaca di fatti accaduti e verificati sul campo, le fonti sono citate puntualmente e questo contribuisce, secondo me, ad aumentarne la tragicità.
La prima storia ha come protagonista Edwin Chota, un attivista che ha combattuto e perso la vita opponendosi al taglio illegale degli alberi nella foresta amazzonica di Saweto.
“Edwin Chota inviò più di cento lettere a diverse istituzioni dello Stato peruviano esigendo la proprietà delle terre per la sua comunità: ottocento chilometri quadrati di foresta […] il Governo però faceva resistenza: aveva già assegnato l’80% di quel territorio a due compagnie peruviane del legname.”
Una lotta impari … il processo di legalizzazione di un territorio è qualcosa di molto complesso e in gioco ci sono interessi che non tengono conto dei diritti delle comunità rurali e dei popoli indigeni che vivono su quelle terre.
“In Perù ci sono mafiosi che traggono vantaggio da questa situazione”.
Come avviene per tutte le mafie, offrono denaro a chi non riesce a far fronte alle spese per affermare i propri diritti, la conseguenza è che poi in cambio sono costretti a concedere il taglio degli alberi. E’ un circolo vizioso difficile da interrompere anche perché molti indigeni lavorano per i taglialegna illegali.
Chota ha lottato per riuscire a mappare tutto il territorio, voleva “costruire” una carta geografica per provare ad arginare i saccheggi.
QUI potete seguire una intervista del 2013 a Chota (è stato assassinato nel 2014).
La storia di Chota mi è rimasta molto impressa, su di lui i trafficanti di legname cominciarono a far girare voci infamanti per sminuirne la credibilità. Si raccontava che avvelenava il fiume, che rubava i soldi della comunità per andare in città a divertirsi, le calunnie e le minacce di morte non si fermarono mai fino al suo ultimo giorno di vita.
La cosa che più mi ha colpito di questa storia è che, a differenza delle mafie a cui noi in Italia siamo tristemente abituati e a differenza del narcotraffico, il taglio di legname non è qualcosa di vietato, non si tratta di un fenomeno delinquenziale che ha una organizzazione “formale”, qui mafia è atteggiamento, è fenomeno sociale legato essenzialmente ad una dimensione economico/imprenditoriale, i valori sub culturali che singoli individui/imprenditori impersonificano all’interno del paese assumono facilmente un aspetto legale, è sufficiente che gli alberi abbattuti vengano ricondotti ad una fonte consentita e, senza una vera mappatura del territorio, ciò è impossibile o comunque troppo difficile.
Chota non era un Asháninka ma ha vissuto come tale per molti anni facendosi carico di difendere i diritti di questo popolo pacifico, Asháninka significa “nostri fratelli”, nella loro cultura il conflitto viene evitato, se uno di loro è arrabbiato con un altro si allontana dal gruppo e aspetta di essersi calmato, si prepara a tornare per un dialogo costruttivo. Gli Asháninka condividono il cibo, la loro cultura non conosce il concetto di proprietà privata. Non è così difficile comprendere perché Chota abbia sacrificato la sua vita per quella che considerava la sua gente.
Il secondo capitolo si intitola Oro.
“Il Perù è un mendicante seduto su una panchina d’oro” Joseph Zárate nel capitolo intitolato Oro ripercorre brevemente alcune pagine di storia partendo dal 1532 quando la prima flotta spagnola approdò sulla terra del Tahuantinsuyo.
Protagonisti di questo capitolo sono Máxima Acuña, la “Laguna Azul” e la sete di oro di chi ha fatto di tutto per cacciarla dalla sua terra usando violenza a lei e ai suoi figli e la violenza anche in questo caso veniva da chi avrebbe dovuto rappresentare la legge.
Máxima è considerata un’attivista ma lei, una donna minuta ( sembra una bambina ), non è interessata a titoli, non si sente un’attivista, tutto quel che vuole è essere lasciata in pace a lavorare la sua terra, niente altro.
Belle le pagine che raccontano con quanta caparbietà e forza è riuscita ad arrivare in Svizzera (primo compratore di oro peruviano) per incontrare una rappresentante dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite, di donne come lei di cui nessuno o quasi parla è pieno il mondo.
Il terzo capitolo invece si intitola Petrolio.
“Se Dio potesse esaudire un suo desidero, Osman Cuñachi, bambino awajún, chiederebbe uno smartphone. O un pallone da calcio. O di cambiare le sue infradito di plastica con un paio di sneackers fosforescenti”.
La storia di Osman “Un niño manchado de petróleo” ha fatto vincere a Zárate il premio “Gabriel García Márquez de Periodismo en lacategoría Texto”nel 2018. Osman è solo uno dei tanti bambini che accetta di “ripulire” il fiume dal petrolio, raccogliendo l’oro nero in un secchio in cambio di denaro. Nel 2016 in Perù ci fu un disastro ambientale che vide coinvolti i fiumi Inayo, Chiriaco and Marañon, quest’ultimo tributario del Rio delle Amazzoni, e le popolazioni che vivono in quell’area.
Una mattina 8000 persone (soprattutto indigeni ) svegliandosi hanno trovato tutto coperto di una patina nera: pesci, vegetazione, pelle, acqua, piantagioni di cacao, era petrolio. Petroperu dichiarò che erano finiti in acqua circa 3000 barili di petrolio, cinquecentomila litri …
“Il Perù è stato pioniere, in America Latina, dello sfruttamento commerciale dell’oro nero”
Ma come scrive giustamente Joseph Zárate i Paesi ricchi guadagnano più per consumarlo di quanto guadagnino i Paesi poveri per produrlo.
La foto di Osman Cuñachi venne pubblicata, quel visetto magro e nero di petrolio fece il giro del mondo ma quanto è durato lo sdegno? Poco.
Quello che è facile constatare è che oramai abbiamo imboccato una strada in cui PROGRESSO significa sempre o quasi distruzione e perdita di valori.
Guerre interne è scritto con una prosa che, pur mantenendo toni di cronaca, riesce a restituire i sentimenti e l’emotività che questi fatti e i suoi protagonisti hanno certamente suscitato nell’autore che racconta la sua terra. Edwin, Máxima, Osman, sono persone normali con vite straordinarie e la straordinarietà non sta in quello che hanno fatto (che è incredibile) ma nella forza e nel coraggio con cui hanno sopportato difficoltà insormontabili (il primo a costo del sacrificio della sua vita) consapevoli che le loro erano lotte titaniche dal momento che lo sfruttamento delle risorse naturali è appoggiato dallo Stato che con i suoi funzionari corrotti è nemico dei cittadini indifesi.
Guerras del interior , Guerre interne, nel titolo è chiaro l’intento politico dell’autore che ci regala un’opera di giornalismo investigativo eccellente.
Da leggere assolutamente come gesto di coscienza civile.
Guerre interne di Joseph Zárate
Traduttore: Francesco Fava
Editore: Gran via
Collana: Diagonal. Letteratura obliqua
Anno edizione: 2020
In commercio dal: 1 ottobre 2020
Pagine: 160 p.
€ 14,25