E(li's)booksGuido Gozzano, I colloqui e altre poesie. Intervista ad Alessandro Fo

"Mi piaci. Mi faresti più felice d’un’intellettuale gemebonda" (CIT)

Oggi poesia!

Guido Gozzano, I colloqui e altre poesie, a cura di Alessandro Fo, Interno Poesia, 2020.

Erano anni che non rileggevo Gozzano, ecco alcune domande ad Alessandro Fo che ha curato questo volume.

  1. I colloqui e altre poesie. Ci presenta in poche parole questa raccolta?

Nella sua breve vita Guido Gozzano ha pubblicato solo due raccolte, La via del rifugio (1907) e I colloqui (1911), la seconda delle quali rappresenta la piena maturazione della sua poesia. Questo volume la ripropone come una delle raccolte ‘fondanti’ del Novecento poetico, accostandole una scelta di quelle che (a mio modestissimo avviso) sono le sue prove migliori fra le poesie della prima raccolta e quelle apparse solo in rivista, o rimaste fra i suoi manoscritti (le cosiddette ‘sparse’).

  1. Che posto occupa Guido Gozzano nella poesia italiana?

Montale ha scritto che Gozzano «entrò nel pubblico come poi non avvenne più ad alcun poeta: familiarmente, con le mani in tasca». È in questo modo, appunto, che egli, semplice ed elegante, è entrato «nella poesia italiana». E qualcuno che si muova così, con discrezione, come se niente fosse, può correre il rischio di passare inosservato. Specialmente se prima di lui erano in auge movenze ben diversamente vistose, come quelle di D’Annunzio. Però la sua estrema finezza di tocco, la delicatezza con cui si è posto a studiare e descrivere il mondo, ne hanno fatto un modello ineludibile per generazioni di poeti a venire. E questo gli ha conferito dunque, da quel suo angolo in cui si è appartato, con le sue mani intasca, un posto importante.

  1. Confesso che non leggevo Gozzano dai tempi del liceo e non ricordavo nulla della sua ironia, mi viene in mente “L’ipotesi” e la parodia del mito di Ulisse. Ci racconta questo aspetto della sua poesia?

A me sembra che la poesia di Gozzano si muova con un respiro che alterna costantemente contiguità e distanza rispetto alle cose. Le avvicina, le valorizza, le fa percepire a chi legge in tutta la carica di tempo e di significato  che possono mostrare – anche se laterali, fruste, logore, classificabili come «ciarpame reietto» – e nel contempo le inscrive in uno sguardo che sembra relativizzare quasi ogni aspetto della vita, sorridervi sopra con disincanto, ‘sdrammatizzandone’ le pretese o le pose. L’ipotesi è un testo meraviglioso, e molto significativo sotto questo profilo. Gozzano vi ‘ipotizza’ di vivere a lungo (contestualmente  registrando che invece questo non avverrà) e si proietta in una maturità soddisfatta e borghese, di cui si appresta a corteggiare i riti, nello stesso momento in cui ne indica la piccolezza – la scarsa e a un tempo rilevantissima importanza. Alla ‘futura’, ipotetica moglie un po’ ignorante di quel «giorno d’estate, nel mille e… novecento… quaranta» (Gozzano morì alle 19 del 9 agosto 1916) viene illustrata, dalla dotta cerchia di amici, la vicenda di Ulisse, prendendo in giro simultaneamente l’eroe epico di Omero, alcuni dei versi più famosi di Dante, e le immaginifiche pose del Vate D’Annunzio che pomposamente lo appella «Re di tempeste». È giustamente celebre l’ardita rima fra «Nietzsche» e «camicie» nella Signorina Felicita. Ma guardiamo un po’ se le siano inferiori questi sorrisi rimati, in quella sorta di cartone preparatorio (o di fantasia parallela) della stessa Signorina Felicita che è L’ipotesi:

Il Re di Tempeste era un tale

che diede col vivere scempio

un ben deplorevole esempio

d’infedeltà maritale,

che visse a bordo d’un yacht

toccando tra liete brigate

le spiagge più frequentate

dalle famose cocottes

 

  1. Le poesie di Gozzano hanno una nitidezza figurativa eccezionale, ci sono poesie come Invernale (bellissima) che diventano, un verso dopo l’altro, una messa in scena il cui protagonista è un antieroe che inevitabilmente ci fa pensare al poeta stesso; che uomo era Guido Gozzano?

La risposta sull’uomo è molto difficile, perché Gozzano ama entrare in scena con varie ‘maschere’, e in realtà nascondersi dietro auto-raffigurazioni solo parzialmente coincidenti con l’autentico ‘sé’. Per esempio, spesso si autorappresenta come un uomo gelido e cinico, che guarda agli altri e alle loro idee con un «un riso amarissimo», «un riso che mi torce senza tregua / la bocca» (L’ultima infedeltà). Ma non era davvero  unicamente così; tant’è che, nello stesso tempo, non vorrebbe essere preso per il malvagio che qua e là sembra recitare (Un rimorso). È vero che poesie come Invernale mostrano la sua grande capacità di narrare e di rappresentare. Questa vocazione narrativa è stata molto sottolineata dalla critica, insieme alla sua inclinazione ‘realistica’: ma ha anche molto di teatrale: Gozzano porta in scena i suoi personaggi e, fra loro, se stesso (ora con autocompiacimento, ora con ironia, ora quasi giocando a ‘sminuirsi’).

  1. Ci parla delle figure femminili delle poesie di Gozzano?

«Donna: mistero senza fine bello!» (La signorina Felicita). Gozzano è un cultore della bellezza femminile, si perde nel fascino delle incantevoli e maliose figure che incontra – e che a volte seduce. Stranamente, non riesce ad amare nel senso pieno del termine, e il rammarico di fronte a questa incapacità è un tema cardinale del suo canto. Ma in compenso sa bene come trasmetterci l’impronta che le bellezze incontrate hanno lasciato nel suo cuore plurale e vagante: basti pensare alle due protagoniste – la giovinetta e la donna matura – di Le due strade, o alla svagata e divertita galleria di «tutte le signore/ che mangiano le paste nelle confetterie» (Le golose). Senza dire dell’ardita, imprudente, sprezzante pattinatrice sul ghiaccio in procinto di rompersi (Invernale) o dell’efebica americana incontrata in India (Ketty) o della Mammina diciottenne. Gozzano arriva a fantasticare sul fascino della sua «bisavola» il giorno che incontrò Byron (Il viale delle statue: «I fauni si piegavano a guatarne / cupidi la bellezza»), e la vecchia fotografia di un’«amica di nonna» diviene oc­casione di dissacranti fantasie (L’esperimento). E quando idealizza un possibile porto in cui posare, vagheggia una donna modesta, «quasi brutta», di assai  scarsa cultura, già tratteggiata in L’ipotesi e poi pienamente messa a fuoco nel meraviglio poemetto che l’ha a protagonista, La  signorina Felicita:

Tu non fai versi. Tagli le camicie

per tuo padre. Hai fatta la seconda

classe, t’han detto che la Terra è tonda,

ma tu non credi… E non mediti Nietzsche…

Mi piaci. Mi faresti più felice

d’un’intellettuale gemebonda…

  1. Qual è la sua poesia preferita tra quelle pubblicate in I colloqui e altre poesie e perché?

Molte ne potrei citare (L’analfabeta, Paolo e Virginia, Cocotte, Dante…), ma proprio La signorina Felicita è senza dubbio la mia poesia preferita. Perché è l’affresco di un mondo, piccino e asfittico, ma pieno di fascino. È il canto di una rosa di aspirazioni semplici a una vita ‘normale’, quasi spenta, da parte di un personaggio invece eccezionale, che è minato nella salute e sa che difficilmente potrà conquistare quell’ipotesi di felicità – o qualunque altra ipotesi di sopravvivenza. La lunghezza e la ricchezza di questa poesia non le nuocciono affatto: anzi, contribuiscono a farne un caleidoscopico spaccato di un universo indimenticabile, in cui si intrecciano l’amaro e il dolce di Villa Amarena, il passato del «ciarpame» nei solai, l’incanto del paesaggio del canavese, le tentazioni della poesia e del rinnegamento della poesia per un’esistenza intenzionalmente ‘piatta’, le minuscole gelosie di paese nei pettegolezzi presso il farmacista, il cimitero con la luna sopra il campanile (come un punto sopra una I gigante), le sdolcinatezze degli amanti («Giurasti e disegnasti una ghirlanda/ sul muro, di viole e di saette,/ coi nomi e con la data memoranda:/ trenta settembre novecentosette…)

  1. Questa è la mia: La via del rifugio, ci commenta questi versi per salutarci?

Socchiudo gli occhi, estranio

ai casi della vita.

Sento fra le mie dita

la forma del mio cranio…

Ma dunque esisto? O strano!

vive tra il Tutto e il Niente

questa cosa vivente

detta guidogozzano!

È questo un noto autoritratto del nostro poeta: «supino nel trifoglio» si trova a cogliere con stupore, e a comunicarci con immediatezza, la meraviglia del trovarsi in vita: dell’essere pensiero delimitato da una calotta cranica, del ritrovarsi, fra dita e cranio da un lato, pensiero e poesia dall’altro, una «cosa vivente», con una propria specifica identità, stilizzata nel nome-e-cognome, che in un angolo di spaziotempo viene a comparire in un meraviglioso «Tutto» (animato dai giochi e dalla gaiezza, anche crudele, delle nipotine) ineluttabilmente chiuso fra due parentesi – quella del ‘prima’ e quella del ‘dopo’ – di «Niente».

I colloqui e altre poesie – Guido Gozzano
A cura di: Alessandro Fo
Interno Poesia Collana: Interno Novecento
Pagine:248 – € 12,35 SUL SITO DELL’EDITORE