PromemoriaMeno regioni e più Ragione

Dopo questi mesi di emergenza sanitaria ed economica, che ruolo di significativo hanno le regioni nella gestione di una pandemia globale?

Cosa fare quando si perde di vista la ragionevolezza?  Teresa di Calcutta consiglia addirittura di amare tutto nei fratelli e nelle sorelle financo l’illogicità e l’egocentrismo delle persone.  Ma francamente il nostro paese non se lo può permettere un atto caritatevole di tale ampiezza. Più laicamente e  in punta di piedi, preferiamo stare vigilanti al monito di Gustav Jung secondo cui considerato  che “le grandi decisioni della vita umana hanno a che fare più con gli istinti che con la volontà cosciente e la ragionevolezza” , ne consegue che abbiamo bisogno di passi risoluti, chiari e meno ondivaghi di adesso.

Come nella scorsa primavera, si sta ripetendo lo stesso risiko dello scaricabarile tra governo e territori in questa seconda ondata  (non imprevista) del coronavirus  ma – se non fosse stato chiaro mesi fa – occorre con forza affermare che ci sono ragioni più forti delle regioni, traiettorie di azione politica molto più importanti del futile giro narcisistico di valzer dei cosiddetti governatori  i quali si stanno rivelando – con tutto il rispetto – più un peso ingombrante che un supporto nella lotta alla pandemia.

A dirlo sono loro stessi nella frenesia di qualche like in più o un titolo di quotidiano quando passano dal voler essere coinvolti dal governo centrale (prima di pranzo) alle spallucce verso sera con frasi del tipo “è dell’esecutivo l’onore della decisione”. Salvo poi mitragliare il dissenso all’indomani di una dpcm o di una nota ministeriale. Questa non è collaborazione istituzionale, sinceramente ma – senza tanto girarci intorno – è avere delle zavorre ai piedi  il cui peso è reso insopportabile dall’apparente sicurezza con la quale predicano  dimenticando di essere amministratori dentro un quadro di emergenza nazionale. Che il titolo V (riformato sciaguratamente nel 2001) contenga questa concorrenza tra Stato ed Enti territoriali non ci sono dubbi ma allora quale migliore occasione di “devolution” di fatto lasciando al governo uno spettro più ampio di responsabilità condividendone gli obiettivi chiave come la salute di tutti i cittadini.

Niente, il mantra è che mi si deve vedere anche se poi nei fatti non muovo un mignolo. Persone molto più autorevoli di me – come ad esempio Sabino Cassese – hanno avuto il coraggio di bocciare il regionalismo italiano parlando di magro bilancio ma gli unici a non averlo capito sono proprio i presidenti di regione, vittime di una sopravalutazione di sé capace di risultare a tratti insopportabile.

In quale altra democrazia matura, dobbiamo assistere allo spettacolo imbarazzante di “amministratori del territorio” che dividono et imperano su un tema così globale come la pandemia? Ve li vedete le istituzioni più importanti e le cancellerie di peso che  prendono sonno rassicurati  dopo aver letto i post social di De Luca, Totti, Fontana o Zingaretti?  Pur avendo più di un rilievo critico nei confronti di certe scelte e per non morire soffocati dal faziosamente scorretto,  bene ha fatto il commissario Domenico Arcuri nel rilevare (il verbo mio è sputtanare)  la lentezze delle burocrazie regionali  nell’aver disperso o poco  speso i fondi  stanziati per l’implementazione delle terapie intensive sopratutto per la parte delle macchine per il supporto alla respirazione negli ospedalizzati.

«All’inizio dell’emergenza i posti letto in terapia intensiva erano 5.179: da allora ho inviato alle Regioni 3.303 ventilatori, cui da domani se ne aggiungeranno altri 1.849.

Sbagliamo o sta qui il discrimine tra l’operato di una regione o un’altra? Non è forse compito dei cosiddetti governatori amministrare le risorse nazionali e darne operatività tempestiva e organizzata? Perchè anzichè di lavorare su queste prerogative di loro competenza, i presidenti di regione pontificano non di loro pertinenza? E i cittadini (persone e non solo voti) perchè non chiedono conto dei loro amministratori realmente coinvolti nella sanità che ricordiamo è Re-gio-na-le ?

Ci permettiamo una malizia: dopo aver visto la convergenza degli italiani nei confronti del governo Conte, figlia della paura e del desiderio di unità nazionale, forse che si voglia diabolicamente  avvelenare i pozzi? E se bisogna dare una mano al governo anche con criticandolo perchè non farlo portando sul tavolo argomenti seri e non soffiare sul fuoco della rabbia popolare? E perchè non dire seppur sgradevole un po di verità ai cittadini dicendo loro che certa disinvoltura estiva è stata un errore che ci costa l’affanno di queste settimane?

Il virus si è semplicemente adattato al nostro egoismo sfrenato, ha dato la stura sia ad un negazionismo da baraccone (che però trasformiamo in account influencer ) che radical chic (con tanto di convegni ospitati in Senato nella speranza che la presidente Casellati un giorno ci dia spiegazioni). Avendo adesso infettato mezza Italia, l’altra mezza ha si è trasformata in  vettore inconsapevole del virus  adesso piange sul virus versato ma certa politica ieri le ha lisciato il pelo per un pugno di voti, oggi è in totale imbarazzo. Così non andiamo avanti, è necessario che si torni ad una nazionalizzazione del problema e il premier Conte (da cui mi dividono un milione di prese di posizione) farebbe bene a fare dirette a reti unificate insieme con i cosiddetti governatori e vediamo – non di nascosto – l’effetto che fa.

Se non esiste un colore per i camici in trincea, non c’è colore politico più nitido degli altri nella lotta al Covid.

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