Leggo in questi giorni l’euforia degli organizzatori della Milano Games Week, la rassegna del videogame che si è svolta – causa pandemia – interamente online con eventi e anteprime, trial delle release, tante gare e anticipazioni dei prossimi giochi, con ospiti di rilevanza nazionale e internazionale dentro un palinsesto ricchissimo di attrazioni. Da quanto emerge, si è registrato un bilancio da capogiro con 1.256.573 visualizzazioni live, 6 milioni di minuti visti e picchi superiori ai 130.000 spettatori unici al giorno su un singolo canale nei quattro giorni di show. Tutto in linea con un fenomeno sempre più intenso nel mondo come nel nostro paese così come descritto dagli ultimi studi sul tema. Vale per tutte le fasce d’età ma sono i giovanissimi e giovani (fascia 13-25 anni) quelli che vanno talmente in “fissa” con la consolle di gioco da trascurare spesso altre esperienze sociali (persino lo sport, altri hobbies o le relazioni amicali).
Dal passatempo al tempo che passa rimanendo a giocare per oltre mezza giornata (pensate che la media di una singola sessione di gioco è di 6 ore e 34 minuti, l’11% in più rispetto allo scorso anno).
Ora, facendo quattro conti alla Trilussa (con l’attenuante di non dover rendere conto per riviste puramente scientifiche) si scopre che mal contati poco meno di un milione di “utenti” si sono collegati alla Games Week italiana e ammirare i loro beniamini in formato pixel. Ma se pensiamo che la popolazione scolastica (mi fermo alle scuole superiori di secondo grado) è censita intorno (dati ministero) a due milioni e mezzo di adolescenti parliamo di centinaia di migliaia di ragazzi e ragazze armati di tutto l’arsenale gaming presente nel globo (tappetini sensibili, cuffie dal suono cinematografico, controller sofisticati etc), adolescenti collegati da casa tramite Twitch.tv che è una piattaforma di Live streaming di proprietà di Amazon.com, lanciata nel 2011 come spin-off della piattaforma di streaming generico Justin.tv.
A questo punto mi chiedo sommessamente: com’è che sbucano i giga per videogiocare senza ci fosse un domani e poi improvvisamente non si ha la connessione di casa o mobile (pc, tablet ) per entrare nella classe digitale e fare lezione con docenti e compagni?
Tempo fa era accaduta la stessa cosa per il bonus vacanze così come prevedo per la lotteria degli scontrini dal prossimo gennaio. Ci si chiede infatti del perchè non appena si tratta di “prendere” siamo tutti digitalizzati, scarichiamo App come quando ingurgitiamo le buone polpette della nonna; ma viceversa nel momento in cui bisogna “dare” (contribuire, investire) attraverso il web diventiamo tutti disconnessi, appellati diligentemente alla privacy, analogici.
Dove sta la verità assoluta francamente non lo so ma qualcuno – di certo – finge spudoratamente. Ma non voglio essere bacchettone e puntare il mouse contro qualcuno. Cerco solamente di capire dove sta la contraddizione tra il vero e il presunto. C’è comunque della furbizia da parte di alcuni che con la scusa della didattica digitale continuano a fare gli affari propri a scapito di una fetta di comunità scolastica che – al netto delle difficoltà del momento – non accampa scuse e prova ad impegnarsi nello scenario dato. Dove quindi l’incongruenza?
A darmi conforto il report ISTAT sulla fruizione in casa (leggasi banda medio-larga e larga) dei servizi internet soprattutto focalizzandoci sull’impatto economico e culturale della navigazione in rete. Nel 2019, in Italia, il 76,1% delle famiglie dispone di un accesso a Internet e il 74,7% di una connessione a banda larga ma alla domanda cosa si fa con il web cala un velo di tristezza. Ormai ci si connette per i motivi più svariati, che spaziano dalla ricerca di intrattenimento, in cui primeggia la fruizione di contenuti video e giochi, all’utilizzo dei social network, ma non “crescono” proporzionalmente le ricerche online per cercare risposta “puntuale” e verificata ai temi eccetto ricerche che rimangono superficiali o spesso miste a vere fake news più eclatanti per enfasi e sensazionalismi.
Il vero gap starebbe a mio modo di vedere nella sproporzione tra quantità di tempo sul web e capacità di costruire moltiplicatori positivi di sviluppo individuale e sociale significativi come dialogare con la pubblica amministrazione, processare una mail di lavoro o banalmente inviare correttamente un curriculum vitae, registrarsi con la propria identità digitale eccetera. Nel caso della didattica a distanza – specificatamente – il tema vero è l’infrastruttura di rete per tale scopo che ancora divide un nord con il sud ma per il resto l’indifferenza digitale è spalmata nel paese per quanto Il Parlamento e il Consiglio europeo individuano le competenze digitali come una delle otto competenze chiave per l’apprendimento permanente, finalizzate all’acquisizione di conoscenze che permangono nel tempo e necessarie a ogni cittadino per riuscire a inserirsi all’interno dell’ambito sociale e lavorativo.
Ciò detto, si aggiunge la notizia recentissima che i principali operatori di telefonia mobile – ascoltando l’appello del governo alla solidarietà digitale in tempo di covid – forniranno traffico gratis per la didattica a distanza a studentesse e studenti. Essi potranno seguire le lezioni scolastiche online senza consumare il traffico dati degli abbonamenti ai telefoni cellulari.
Un ulteriore elemento che suggerisce una conclusione: la mancanza di giga urlata come scusa per disertare la didattica a distanza è una pura sciocchezza!