Beati gli inquieti è il suggerimento di oggi
Il libro
“Casa delle farfalle” è il nome della struttura psichiatrica a cui Antonio, ricercatore universitario, si rivolge. Per raccontare la follia devi osservarla da vicino, conoscerla, abitarla. Prende accordi con la direttrice, si finge un paziente. Scopre le storie delle persone che vi abitano, le loro ossessioni, le paure, i loro desideri. I matti dicono sempre la verità, sono uomini liberi. Conoscerà Marta, Cecilia, Angelo, Carlo e Simone; ma sarà costretto a conoscere anche se stesso, più a fondo di quanto abbia mai fatto prima. Redaelli sceglie con cura le parole, la sua scrittura sa di immediatezza e poesia. Indaga senza filtri la natura umana portando alla luce i suoi lati più insoliti eppure più delicati, e rivela anche se solo per un attimo la verità tutta intera.
La mia lettura
“Sapevo cosa erano i manicomi.
Sapevo che un italiano, nel 1938, aveva inventato l’elettroshock dando inizio a una lunga serie di orrori e che un altro italiano, quarant’anni dopo, aveva fatto chiudere i manicomi. Due eccessi, due follie anch’esse: speculari. Solo gli psichiatri arrivano a tanto.
Sapevo che quando li avevano chiusi si era aperta una terra di mezzo. Alcuni tornavano a casa, altri no.
Dove andavano?”
Cosa racconta la storia della follia? Una graduale presa di potere autoritario di un pensiero unico, di una società (occidentale) che ha agito in modo da provare a sopprimere una diversità che però è uno dei lati, sicuramente quello non desiderato, della società che finisce quindi per negare la sua stessa natura.
Simone (uno dei compagni di stanza della voce narrante):
«Invece è la persona completamente sana a sentirsi isolata nella società pazza e l’incapacità di comunicazione può istillare sofferenze tali da renderla psicotica».
Leggendo queste pagine di Beati gli inquieti, seguendo le riflessioni di Redaelli quello che mi è venuto da pensare è che, di fatto, anticamente nella concezione popolare la follia era priva di negatività, di lati oscuri, era legata alla festa e al riso.
“Questa casa è un’incubatrice, un tempio.”
Dice la voce narrante, l’autore, riferendosi alla Casa delle farfalle.
“è la vita a dissodarci, ad affondare colpi, a livellarci a terra.”
Oggi più che mai la follia non ha alcuna speranza di essere interpretata come esperienza umana autentica, la follia deve tacere, deve essere nascosta, c’è poco spazio anche per una parodia della follia indirizzata ad un pubblico dotto eppure la costruzione dell’identità attualmente non ha nulla di autentico e razionale, viviamo nel mondo di Uno nessuno e centomila. La follia è stata ridotta a malattia e null’altro.
“Sospendo ogni giudizio, non interpreto, non correggo, riporto fedelmente le parole. Divento macchina da scrivere.”
E’ Cecilia, una delle ospiti de La casa delle farfalle a dettare questa lettera:
“Guardando gli altri non sono mai esistita pertanto decido che questa lettera venga letta da tutti perché il mio grande desiderio è diventare un’ottimista guardando ogni giorno una giostra che girava quando ero piccola mi hanno preso in giro per tutta la vita e mi perdo nel tempo nel fruscio del vento nel sole abbacinante nelle case d’Abruzzo”
Queste storie, le storie di Cecilia, Simone, Carlo, sono un eterogeneo amalgama di ideali, di immaginazione, di personalità, quello che viene da pensare, rispetto a un mondo altro che ci viene taciuto, è che il fondamento della realtà siamo noi stessi, la realtà degli ospiti della casa delle farfalle non è poi così diversa dalla nostra.
E’ come se esistessero due mondi ma il nostro mondo è reale tanto quanto il mondo dei pazienti de La casa delle farfalle che vivono la loro esistenza applicando ad un contesto che noi consideriamo “anomalo” le stesse regole e gli stessi ragionamenti che noi applichiamo al nostro contesto cosiddetto “normale”.
Verrebbe da tirare in ballo Don Chisciotte ma non lo farò.
Beati gli inquieti è un libro bello, è un biglietto di andata e ritorno per una destinazione sconosciuta che ha tra le sue caratteristiche una cosa soprattutto: l’essere umano nella sua essenza più pura.
Vi lascio con una citazione che trovate in fondo al libro:
“Ci sono tre classi di geni.
Lo dice Stanisław Lem, scrittore e medico polacco.
Quelli della terza classe sono i meno geniali, non si spingono oltre l’orizzonte del loro tempo, non corrono rischi. Spesso godono di stima, fama, denaro.
I geni della seconda classe non hanno mai successo, i coevi non li apprezzano, piuttosto nutrono verso di loro astio. Nell’antichità venivano lapidati, bruciati, rinchiusi. Bene che vada, li scopre la generazione successiva o quella dopo ancora.
I geni della prima classe non li scopre nessuno, né in vita né dopo. Vivono sepolti, serbando verità inaudite, impossibili da professare: vere e proprie rivoluzioni disattese. Sono così grandi che rimangono invisibili per secoli.
Voi a quale classe di geni appartenete?”
Beati gli inquieti di Stefano Redaelli
Neo Edizioni
€ 14,25 Brossura