Di tessere e democrazia

La crisi di +Europa, sfociata nell'abbandono del partito da parte di Emma Bonino, è frutto della scelta di aprire ad un tesseramento indiscriminato. Molto meglio sarebbe stato porre un limite temporale coincidente con quello dell'ultima tornata elettorale.

Non voglio entrare nella disputa sorta attorno all’ultima assemblea di PiùEuropa. Non ho rinnovato la tessera e già alla fine del 2019 scelsi di non proseguire nel ruolo di coordinatore di un gruppo locale.

Ho sempre pensato che il progetto si reggesse su un inganno, forse ritenuto da molti promotori inevitabile.

Un inganno che si è via via svelato in una serie di tappe che hanno segnato pesantemente la vita e l’immagine del movimento: la conventio ad excludendum che al congresso del 2019 fece fuori Marco Cappato, l’imbarazzo (connivenza?) con cui si lasciò che Tabacci rivendicasse un metodo politico antiquato (per non dire altro) e poi le divisioni sul voto di fiducia al secondo governo Conte, l’uscita di alcuni deputati (questa gradita, perché chiarificatrice, ma tardiva), il mai risolto equivoco dell’essere visti come un partito di sinistra.

E, adesso, l’incredibile paradosso di una Emma Bonino che contesta un atto di democrazia interna (la sfiducia del tesoriere votata dall’Assemblea).

Un atto che – ai detrattori – riesce facile giudicare come giacobino, ma che, in effetti, suona bene anche come anti-paternalista. Giacché, in buona fede o meno, la pianificazione democratica è pur sempre un atto paternalista. Se non altro.

L’inganno, tuttavia, poteva reggere ancora. E magari venire dissolto. Il persistente entusiasmo di tanti iscritti avrebbe di nuovo potuto fare la differenza e contribuire a superare gli ultimi ostacoli verso una auspicabile convergenza con altre forze.

Poteva reggere, se non si fosse equivocato sul senso politico di un atto come il tesseramento.

Che senso ha, mi chiedo, promuovere il tesseramento ad un partito giovane come +Europa in vista di un Congresso? Se le mozioni e le proposte non sono ancora in campo o non lo sono tutte, se sono solo abbozzate o intuibili, se il dibattito sul futuro del movimento è ancora tutto da impostare.

L’unico motivo per cui può avere un senso spingere – facendolo oltretutto indiscriminatamente e senza grandi limiti – il tesseramento in una fase precongressuale è solo quello di supportare le singole candidature, in sé e per sé. In tal modo legittimando iniziative partigiane e divisive per definizione. Una competizione interna a suon di tessere che incentiva la nascita di correnti e in cui il partito, inteso come progetto unitario, passa inevitabilmente in secondo piano.

Per un partito giovane è proprio sbagliato, dunque, far ruotare un appuntamento congressuale attorno al tesseramento. E da questo farne dipendere le sorti.

Per un partito come +Europa, che ha trascorso i suoi primi tre anni di vita dovendo gestire e spiegare diverse contraddizioni e diversi tratti di ambiguità e la cui identità è ancora tutta da affermare nel mercato politico, ciò vale ancor di più.

Insomma, non ha alcun senso politico, nella fase di start-up, spingere il tesseramento in prossimità di un Congresso e dare diritto di voto a tutti i nuovi iscritti, indistintamente. Uno non non dovrebbe valere uno, mentre le ragioni economiche non vorrei minimamente prenderle in considerazione.

Per non accantonare completamente il momento democratico in stile Forza Italia (il che mi pare ben poco auspicabile), molto meglio sarebbe stato chiudere il tesseramento valido per il voto al Congresso con largo anticipo. Magari in concomitanza con l’ultima tornata elettorale di rilievo (le Europee 2019), ammettendo alla elezione dei nuovi organi solo gli iscritti che lo fossero stati anche alla data di quell’ultimo appuntamento elettorale.

Eri iscritto in occasione dell’ultima tornata elettorale e lo sei ancora? Allora puoi partecipare.

Si obietterà che nulla esclude distorsioni pure nelle iscrizioni in appoggio di una candidatura elettorale, che potrebbero da molti venire raccolte e promosse già in chiave congressuale. Ma tale raccolta interverrebbe attorno a candidati che, se ammessi in lista dalla Segreteria politica, non dovrebbero essere visti con sospetto. E il tempo che poi intercorrerebbe fra la tornata elettorale e il successivo appuntamento congressuale e la necessità, nel mentre, di mantenere l’iscrizione, costituirebbe un fattore sterilizzante di eventuali distorsioni.

Un altro accorgimento contro le distorsioni avrebbe potuto essere quello di attribuire una quota percentuale di voti assegnabili per il Congresso per ciascuna regione, in base ai risultati delle ultime elezioni nazionali od europee.

Una cosa è certa: è preferibile un sistema che si dichiari paternalista in partenza o che deleghi la scelta del Segretario a pochi delegati individuati con criteri obiettivi, ad uno che rimette simile scelta a scalate e spartizioni correntizie.