Sul video di Grillo, che difende il figlio dall’accusa di stupro. Facciamo un enorme passo indietro. Nella mia vita, da adolescente. Ebbene, quando venivo bullizzato, facevo finta di niente. Anche se dentro morivo. Se mi picchiavano, se mi offendevano o se dicevano cose orribili, di fronte agli altri, mi sentivo privato della mia dignità e ferito. Mi sentivo, se vogliamo usare un’immagine, completamente nudo, alla mercé della derisione altrui. Poi, prendevo ciò che restava di me e facevo finta di niente. Continuavo a stare con le persone che reputavo amiche, si andava da qualche parte insieme – di solito il muretto della piazza – e si chiacchierava e si rideva. E ridevo, eh. Io pure. Chiacchieravo e ridevo. Ma io – sempre io – dentro, sanguinavo. E poi, tornato a casa, rimuginavo. E provavo vergogna, di ciò che ero.
Non so quali pensieri possano attraversare la mente di una vittima di violenza sessuale. Per cui su questo non mi esprimo, limitandomi a credere a ciò che sento dire da parte di chi quelle violenze le ha vissute davvero: sul proprio corpo, sulla propria psiche. So però cosa significa tornare a casa ferito, nella dignità. È un tipo di emorragia invisibile, che scorre copiosa tra i pensieri. Io non li ho mai denunciati, i miei carnefici (di solito maschi eterosessuali, come di solito lo sono gli stupratori). Ciò non significa che quella violenza non fosse concreta. Semplicemente, non avevo la forza di farlo. Anche perché, in quel contesto, la colpa sarebbe stata comunque mia. Esistere in modo diverso dagli altri e quindi meritare quel tipo di discorsi. A modo mio, andavo a cercarmela perché ero quello che ero. Una persona non prevista: perché grasso, perché effeminato, perché gay. Anzi, frocio.
Per cui io credo di poter capire quali ragioni possono esserci dietro silenzi, non detti e denunce tardive. Ciò che non mi piace è l’argomento per cui, siccome poi la tua vita continua, allora non puoi essere vittima. Grillo nella difesa a favore del figlio parla di un altro video in cui si vede che c’è consensualità. Quindi tocca l’argomento della tempistica: perché attendere otto giorni? Quello che forse non comprende è che la vita, in qualche modo, continua. Ma accanto a un’apparente tranquillità c’è sempre quell’emorragia dell’anima, che fa male un po’ ovunque al di qua della pelle. Grillo questo non lo sa, forse perché è un soggetto che non ha mai dovuto fare i conti con il disprezzo sociale per ciò che è. Donne, persone Lgbt+ e altre categorie discriminate, invece, sanno cosa significa starne al centro.
Ovviamente, qui nessuno dice che il figlio di Beppe Grillo sia colpevole. C’è un processo da fare e delle prove da portare in tribunale. E sarà un/a giudice a stabilire cosa si è verificato. Fino a quel momento, Ciro – il figlio del fondatore del M5S – è innocente. Lo prevede il nostro ordinamento giuridico. Ciò non significa, tuttavia, che la valutazione di una violenza vada fatta col cronometro in mano. Una violenza è una violenza. Forse la ragazza ha avuto bisogno di tempo per mettere in ordine i pensieri o per superare la paura. Sarà un tribunale a stabilire cosa è successo. E sarebbe il caso di sospendere il giudizio.
Tornando a quando ero bullizzato: all’epoca, pensavo che quell’odio riservato contro di me fosse addirittura normale, anche perché ero cresciuto in un contesto in cui ad essere sbagliata era la gente come me. Mica i bulli. Io ho detto di aver subito violenza molti anni dopo. Sia perché mi vergognavo, sia perché ho avuto bisogno di rielaborare le violenze subite e quando ci tornavo sopra, era sempre molto doloroso. E quindi tornavo a vivere, anche se dentro sanguinavo. Ma ciò che era successo non è stato – non è – meno vero solo perché intanto è passato del tempo.