Oggi vi racconto L’influenza delle stelle di Emma Donoghue
Il libro
Dublino, 1918. In una città devastata dalla guerra e dalla pandemia, l’infermiera Julia Power gestisce, da sola, un minuscolo reparto di ospedale dove sono ricoverate donne incinte e in quarantena, affette dai sintomi dell’influenza spagnola. L’arrivo di un’aiutante, una giovane orfana che non conosce nemmeno la propria età, e di una dottoressa ricercata dalla polizia per la sua attività nel movimento indipendentista irlandese – un personaggio che si ispira all’omonima attivista Kathleen Lynn – cambierà completamente la vita di Julia. Nell’arco di tre giorni e nello spazio angusto e claustrofobico del piccolo reparto d’ospedale, le tre donne vedono morire molte delle loro pazienti, uccise dal virus, terribile e sconosciuto, ma allo stesso tempo lottano per far nascere – in un mondo che spaventa – nuove vite. Con una dolcezza costante e una grandissima umanità, dottoresse, infermiere e madri instaurano un rapporto di affetto e solidarietà che rappresenta una luce nell’oscurità della sofferenza, aggravata dalla condizione della donna e dall’irrilevanza del corpo femminile. Straziante e incoraggiante, ambientato in una dimensione temporale al tempo stesso breve e lunghissima, “L’influenza delle stelle” è una lettura perfetta per questi tempi difficili. Emma Donoghue intreccia abilmente una situazione medica alquanto primitiva, in una realtà sociale ancora improntata al pregiudizio, con la storia di tre donne e la loro grande capacità di amare. Un romanzo commovente sulla vita, sulla morte e sulla speranza, ma anche sulle indecifrabili trame del destino.
La mia lettura
Quando ho pubblicato la foto della copertina di L’influenza delle stelle di Emma Donoghue su Instagram (ricordo che il mio account è @leggoletteraturaamericana) molti mi hanno scritto dicendomi che avevano timore a leggere una storia dove si racconta di una pandemia, ecco io voglio tranquillizzare quelle persone precisando che L’influenza delle stelle è soprattutto un romanzo storico, siamo a Dublino ed è il 1918, la spagnola sta mietendo vittime e certamente le analogie con quanto stiamo vivendo sono inevitabili ma il contesto storico è tale che non c’è il rischio di immedesimarsi, si riesce a leggere provando la giusta emozione per le vicende dei personaggi senza rimanerne travolti.
Ho trovato la prosa di Emma Donoghue particolarmente istintiva, le lettrici e i lettori come me che tendono ad avere una memoria visiva e a figurarsi ciò che leggono, non avranno difficoltà a percepire nitidamente l’ambiente claustrofobico del piccolo reparto di maternità, come l’odore dolciastro del disinfettante sparso in abbondanza sulle strade e tra i palazzi distrutti dai bombardamenti.
La prima parte del racconto si svolge nell’arco di poche ore, Julia Power è l’infermiera e voce narrante che ci accompagna nel suo reparto dove sono ricoverate donne in avanzato stato di gravidanza e affette dall’influenza spagnola.
“All’inizio c’erano solo due brandine di metallo, ma eravamo riuscite a infilarcene una terza per non mandare via Eileen Devine. Il mio sguardo corse subito al suo letto […] Ma la branda al centro era vuota, le lenzuola pulite e ben tese. La crosta di pane che avevo in gola diventò un sasso”.
L’emotività di Julia smorza in qualche modo l’orrore della morte, è come se l’autrice riuscisse a spostare l’attenzione su di lei e il lettore prova un senso di compassione nei suoi confronti prima ancora che nei confronti delle vittime di cui in fondo conosciamo il nome e poco altro.
Il personaggio di Julia è appassionato, vive il suo lavoro in modo viscerale, per ogni paziente che “perde” incide sul retro di un orologio a muro un piccolo segno:
“Era un’abitudine che avevo preso la prima volta che era morta una paziente affidata alle mie cure. […] Avevo sentito il bisogno di registrare l’accaduto in qualche forma privata”.
Bello il personaggio di Bridie Sweeney, improvvisata aiutante di Julia, l’autrice si è ispirata per costruirlo alle numerose testimonianze pubblicate nel cosiddetto “Rapporto Ryan” del 2009 sulle condizioni degli istituti residenziali irlandesi.
Emma Donoghue mette al centro del romanzo il dolore inteso in senso universale, non è solo la malattia a provocare sofferenza, c’è la guerra, la miseria che ne è seguita e c’è anche una storia parallela vissuta da uno dei personaggi che però non svelo per non rovinare la sorpresa, vi dico solo che si ispira ad una figura storica realmente esistita, introduce un tema politico che tuttavia rimane di secondaria importanza.
E’ un romanzo che emana calore, umanità, restituisce valore a delle donne che sono madri, mogli, sorelle, professioniste, fa riflettere sull’impossibilità di governare gli eventi:
“Pensai che forse eravamo davvero lì per far divertire le stelle. Con i loro invisibili fili di seta ci strattonavano da una parte all’altra”.
L’influenza delle stelle se fosse un quadro sarebbe un Matisse, Emma Donoghue riesce a descrivere una realtà difficile semplificandola, riducendola a sensazione, sentimento, i colori a cui rimandano le scene descritte sono puri, intensi e contribuiscono a dare alla narrazione il calore a cui facevo riferimento poc’anzi.
Bello.
L’influenza delle stelle di Emma Donoghue
Sem editore
Traduzione di Maria Baiocchi e Anna Tagliavini
Pp 315 € 18 Brossura