Anelli di fumoTondelli secondo Campofreda: quando la critica è un satori

A 30 anni dalla morte dello scrittore di Correggio esce una monografia che parla del suo impegno

“Don’t judge a book by its cover”, dicono gli anglosassoni…

Scriveva una delle muse tondelliane, l’austriaca innamorata di Roma Ingeborg Bachmann, nel suo più famoso lavoro: “Di uno che entra nel suo trentesimo anno non si smetterà di dire che è giovane. Ma lui, benché non riesca a scoprire in se stesso alcun mutamento, non ne è più così sicuro: gli sembra di non avere più diritto di farsi passare per giovane. […] e precipita in una voragine senza fondo, finché non perde i sensi, finché non si è dissolto, spento e annientato tutto ciò ch’egli credeva d’essere.”

Chissà cosa avrebbe scritto Bachmann di uno che entra nel suo trigesimo della morte. Non lo sapremo mai: son morti tutti troppo presto e parliamo di un mondo iperuranico di ombre giovani e forti. 1991-2021, eccoci qui. Sono trent’anni senza Pier Vittorio Tondelli, e solo ora cominciano a uscire delle monografie critiche degne di questo nome, che rendono giustizia alla poliedrica figura di uno dei maggiori intellettuali del Novecento italiano, tanto prezioso quanto discusso.

Il lavoro di Olga Campofreda, Dalla generazione all’individuo. Giovinezza, identità, impegno nell’opera di Pier Vittorio Tondelli  (Mimesis, 2020, pp. 274, 24€) è uno di quei saggi di critica letteraria che lasciano parlare i testi e da quella lettura ricavano una tesi. Il lavoro si suddivide in quattro capitoli, riassumibili dalle tematiche “mitologia della giovinezza”, “formazione impossibile”, “scrittura come meditazione” e “Tondelli curatore”. Campofreda parte – in modo prezioso – dall’analisi di alcuni inediti ritrovati negli archivi del Centro di Documentazione Tondelli istituito nella biblioteca di Correggio, riprodotti in appendice al volume. E’ la famosa performance Jungen Werther / Esecuzione e Appunti per un intervento teatrale sulla condizione giovanile, anno di grazia 1978, quando Tondelli si avvicinò all’attività del gruppo di teatro di strada Simposio DifferAnte, dimettendosi dal teatro parrocchiale con gran sdegno. Il comune amico Enos Rota mi aveva parlato di questo spettacolo di teatro sperimentale al modo enosrotiano: con grande trasporto pari solo al rimpianto per anni felici e giovani.

Giovinezza, impegno, identità, satori

Campofreda legge questi inediti in controluce con il resto della produzione edita tondelliana e li lega anche alla sua celebre attività di talent scout di quelli che son stati chiamati, arbasinianamente, “nipotini di Tondelli”. Le parole chiave che l’autrice ricava dopo il suo sapiente setaccio sono dunque quelle di “Giovinezza“, “Impegno“, “Identità“, che preferisce a “generazione” (e ne spiega i motivi) e “satori” (l’epifania degli orientali), termine tondelliano per eccellenza, che funge da enjambment fra il Tondelli sbarazzino di Altri libertini e quello riflessivo, spirituale e ponderato di Camere separate.

Ce n’è abbastanza per bacchettare gran parte della critica precedente, fra “assenza di un approfondimento sulla tematica dell’omosessualità” (p. 19) e la “mera rappresentazione di un determinato tempo storico, dove la riflessione esistenziale e artistica non appartiene all’autore ma risulta frutto dell’interpretazione del discorso a lui esterno. Il continuo riferimento alle influenze, da Celati agli autori della Beat Generation, presente in ciascuno di questi contributi critici, non si evolve in un’analisi dell’originalità del pensiero tondelliano rispetto alle sue fonti. Il problema allora si colloca non nel mancato interesse nei confronti di questo autore da parte della critica, ma nel modo in cui fino a questo momento le opere di Tondelli sono state interrogate. È proprio su questo limite che è necessario intervenire al fine di restituire una certa autonomia e valore all’opera tondelliana” (p. 17).

Un Tondelli impegnato, finalmente

E ancora, in un brano che amo particolarmente: “sono convinta che proprio l’impegno di Tondelli in quanto scrittore e intellettuale stia alla base di tutte le sue scelte in campo letterario: contro l’omologazione della letteratura di massa degli anni ottanta, contro la standardizzazione del linguaggio, contro il conservatorismo culturale veicolato dalla cultura piccolo-borghese italiana del tempo, Tondelli ha rotto i codici dell’omologazione […] e lo ha fatto parlando ai lettori da vicino, come non aveva fatto invece l’esperienza della neoavanguardia” (p. 22). SBEM!, Gruppo 63, prendi e porta a casa.

La giovinezza rappresentata da Tondelli si può allora paragonare a quella monade “senza finestre” di cui parlò Leibniz, una sorta di “atomo spirituale”, di energia dinamica che costituisce tutto ma non può comunicare con nulla, eppure all’interno di un’armonia elegante in cui ogni monade fa la sua porca parte, come musicisti di un’orchestra. E’ una giovinezza politica e militante, più che uno stadio metafisico dell’anima.

Il cantore della controcultura, altro che edonismo

Si scrive “giovinezza” ma si legge “controcultura“, e non la si può imprigionare dentro le asfittiche mura di una sezione di partito, ché Tondelli li avversava tutti, in ugual misura e per questo fu etichettato dai soliti soloni della critica ad usum factionis come “cantore dell’edonismo e del disimpegno”. E’ invece una giovinezza simbolo di impegno scapestrato e nomade, per le strade di Bologna o Milano, stretta per i corridoi del DAMS o di una caserma splendidamente frocializzata, a disagio in uno studio tv o sui divanetti di un premio letterario, in viaggio verso Klagenfurt o il mitico Nord Europa. Una tribù degli alti e giovani, verrebbe da dire, in contrasto col “mondo dei padri e delle madri” che, nota Campofreda, viene rappresentato negli inediti da Tondelli stesso come il vero antagonista, ma non solo del Jungen Werther, quanto dell’intero opus. Dove, in effetti, gli adulti intesi come genitori non compaiono quasi mai.

Manca solo il peso della controcultura queer

Per raccontare questo tipo di giovinezza occorreva dunque, secondo Campofreda, una “scrittura anti-letteraria […] vicina al parlato, inclusiva di tratti dialettali e gergali […] più adatta a raccontare la condizione giovanile” (p. 27). Nel complesso, l’autrice riesce nel suo intento: fa rivivere il messaggio di Tondelli attraverso anzitutto i suoi testi e li colloca nel loro contesto di un’Italia che abbandonava le ideologie e si dava a un edonismo che avrebbe cambiato tutto, incluso il concetto stesso di impegno in letteratura.

Una critica che si può muovere a Campofreda è di non aver indagato a sua volta in modo sufficientemente approfondito sull’apporto del Camp nell’opera tondelliana, proprio a partire da quella controcultura queer di cui – forse non volendolo espressamente – Tondelli fu alfiere trattando per primo, in Italia, di giovani gay o transessuali fieri e felici della loro condizione. Giovani in cerca di tutto, tranne che di omologarsi al “mondo dei padri e delle madri” tipico del “piccolo borgo” di provincia. Prosit, Pier.

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