Il libro
È la notte del 2 ottobre 1968 a Città del Messico, mancano dieci giorni all’inizio dei giochi olimpici messicani. In piazza delle Tre Culture, nel quartiere di Tlatelolco, l’esercito interviene per reprimere le manifestazioni studentesche. Il bilancio è di oltre duecento morti e di centinaia di arresti. Tradotto per la prima volta in italiano,68 è l’appassionante memoir di Paco Ignacio Taibo II sulla stagione della contestazione in Messico dalla nascita del movimento di protesta, con l’occupazione di scuole e università, fino alla repressione dello Stato e al sanguinoso epilogo. Taibo II, che era membro della Commissione sciopero nella facoltà di Scienze politiche, ritaglia nella sua memoria un collage di ricordi personali che disegnano i giorni esaltanti e tragici della ribellione e forniscono all’autore lo spunto per una riflessione sulle virtù e sui limiti del movimento studentesco messicano
La mia lettura
“C’è unanime accordo sul fatto che il movimento esplose il 26 luglio del ’68, però come sempre accade nella storia reale, noi che l’avevamo fatto esplodere allora non sapevamo cosa stesse esplodendo.”
Questo bellissimo memoir di Paco Ignacio Taibo II ricostruisce con grande emotività le tappe dei 123 giorni che segnarono un’intera generazione di studenti, una esperienza che diede a quei ragazzi “un passato e un paese, terra sotto i piedi”.
E’ vivo il ricordo di Paco Ignacio Taibo II, gli studenti messicani avevano già “assaggiato” le randellate della polizia quando qualche anno prima avevano manifestato a sostegno del Vietnam:
“Vedeva il governo più in là di noi? Prevedevano il sorgere di un grande movimento studentesco e volevano smembrarlo prima che sorgesse?”
L’interrogativo era legittimo perché per i protagonisti non ci fu vera progettualità, il movimento nacque senza una reale consapevolezza politica e sociale, era arrivato l’eco del “maggio francese”, dell’occupazione della Columbia University a New York, dell’insurrezione popolare a Córdoba in Argentina ma ogni paese ha avuto il suo ’68, con le specifiche peculiarità geopolitiche, in Messico i giornali mentivano, gli studenti erano presentati come dei provocatori, ma nonostante la repressione violenta anche i più giovani si unirono alla lotta, erano ragazzi che fino a qualche giorno prima non “avevano letto Lenin e che nel bel mezzo di quel vortice si sarebbero risparmiati di leggerlo”.
Una sincerità spiazzante, una ironia che mi ha strappato più di un sorriso e soprattutto mi ha avvicinata a Paco Ignacio Taibo II, ho desiderato, pagina dopo pagina, di poterlo incontrare lui e i suoi ricordi, di poter ascoltare dalla sua voce i fatti che in ’68 racconta dando a ogni capitolo un titolo sempre un po’ dissacrante perché nonostante tutto tiene a ribadire quanta confusione ci fosse in quei giovani cuori.
“E a me, che sono sempre arrivato tardi in quasi tutto, non sono mai piaciute le birre al limone e tequila. Ci mancava il senso dell’umorismo e il giusto modo di fare in tantissimi ambiti. Nessuno era capace di prendere posizione a favore del frappè al cioccolato o delle quesadillas sulla soglia della panetteria. Forse sono state le donne le prime a rivendicare questo tipo di cose nel bel mezzo di un commento su I cuccioli di Vargas Llosa. Avevano un maggior senso pratico, erano meno limitate di noi.”
Racconta i miti degli anni Sessanta, veri e immaginati, trova nella memoria l’aneddoto assurdo più semplice da ricordare perché si sa che la memoria tende a semplificare, quello che ci fa capire bene Paco Ignacio Taibo II è che il movimento studentesco messicano ha avuto il merito di smascherare lo Stato, di innescare il dibattito familiare, è stato l’ “indiscrezione provvidenziale” che ha rappresentato l’alternativa alla stampa asservita.
“Il mito vuole che i Sessanta siano stati universalmente anni di brandina, da letto, da stoia, e da materasso. Rock, sesso e marijuana. Rock, un po’, marijuana, sostanzialmente quella che aveva cercato di introdurre la polizia in università, e sesso … In Messico la liberazione sessuale non andava a gonfie vele, se non per i rimorchiatori seriali. […] Parte del mito vuole che si scopasse parecchio nel ’68. Ben meno rispetto al 1967, e meno ancora del 1966, direi io. C’era meno tempo”.
Ma quali sono stati i limiti del movimento ricorda Taibo II?
Sicuramente il suo messaggio, eccessivamente studentesco, esclusivo, privato, egocentrico.
I morti erano i loro morti, la “generosità” del movimento si limitava ai prigionieri politici altrui ma in Messico di morti se ne contavano tanti anche in altri contesti, tra i lavoratori, nelle fabbriche.
Ci racconta l’impegno di Radio Rumor: “ Terra di tutti e di nessuno, assolutamente democratica, frequentemente irrazionale, decisamente messicana”.
La sola che svelava i veri fatti, quanti morti, dove, per mano di chi.
Molto toccante il ricordo della strage di Tlatelolco, un massacro che troppe volte si è cercato di “falsificare”. L’Esercito attaccò gli studenti, aprì il fuoco sulla massa disarmata. In quel preciso momento, era il 2 ottobre, Paco Ignacio Taibo II non era in Messico, suo padre lo aveva mandato in Spagna, a Madrid, una imposizione che lo scrittore diciannovenne subì dal genitore troppo preoccupato per la vita del figlio che era oramai parte attiva di quella lotta. Sarà un cruccio che lo accompagnerà per sempre, non essere stato lì, quel giorno (tornò due giorni dopo) a fare la sua parte a qualunque costo.
Molti dei morti verranno fatti sparire, buttati in mare da aerei militari la notte stessa del massacro, sono i cadaveri desaparecidos e quelli che hanno cercato di far luce su questa nefandezza hanno pagato col carcere e con la vita.
La delusione della resa, il dolore di porre fine a quel tentativo di cambiamento andato male è tangibile ancora adesso, chiaramente si coglie nelle parole dell’autore di ’68.
“Il ’68 ci ha dato quel combustibile di resistenza e testardaggine”.
Riassume in fondo al libro negli “Epiloghi” Paco Ignacio Taibo II il dopo: 25 anni dopo, nel 1993 la nascita del Com25 con l’impegno dei “veterani” e l’entusiasmo dei giovani appassionati di quel mito, “demistificare” o “rimitizzare”? Qual è la cosa giusta in questi casi?
35 anni dopo, nel 2003, si sono dissotterrate altre “prove”, è stato aperto l’archivio del Generale Garcia Barragan, sono state svelate le torture praticate nei commissariati di polizia.
Nel 2007 a quasi quarant’anni ancora resiste l’interesse per quel passato recente.
“Cos’è di quei centoventitrè giorni di sciopero studentesco contro il governo di Diaz Ordaz che non si può dimenticare, quello che vogliamo dimenticare o quello che gentilmente abbiamo dimenticato? Non si dimentica il 2 ottobre, il massacro, la cospirazione, la sporca e omicida manovra del governo per porre fine al movimento. […] Purtroppo l’assemblea non includeva professori né lavoratori, costretti a darsi una propria forma di organizzazione […] Sui miti non si getta terra. Siamo molto generosi quando ci voltiamo a guardare il nostro passato, ci dimentichiamo il settarismo ereditato dalla vecchia sinistra. […] Ci dimentichiamo della povertà del nostro linguaggio politico […] del dialogo balbettante. Eppure la democrazia è tosta quando quelli che non avevano mai parlato parlano”.
Io non ho vissuto il ’68, non ho neppure mitizzato quella fetta di storia che certamente ha prodotto “benzina epica” per alimentare miti e resistenze, appartengo alla generazione che al più ha avuto un ruolo marginale nel movimento cosiddetto della “Pantera” che all’alba degli anni Novanta si mobilitò per opporsi alla riforma “Ruberti” delle università italiane.
Il progetto di riforma prevedeva una trasformazione netta in senso privatistico delle Università italiane ed era a questo che ci si oppose con l’occupazione di tutti o quasi gli Atenei.
Ma che movimento fu quello? Apolitico, apartitico, democratico, pacifista, antifascista. “Ingredienti “ base evidentemente, pescati nella dispensa storica. I seminari auto gestiti prevedevano nella mia università anche la visione di film come Arancia Meccanica che era un modo (sinceramente mainstream secondo me) di ricordarsi di quel dilemma sulla libera scelta di ognuno. Io provai a partecipare, a capire, dormii su un materasso sul pavimento freddo della facoltà di Biologia ma quando a Roma gli studenti invitarono a parlare in uno dei seminari un ex brigatista (c’era appena stata l’assemblea nazionale del movimento studentesco), confesso che cominciai a capire sempre meno.
Quando il ministro Ruberti annunciò alcuni emendamenti alla legge, che andavano essenzialmente incontro alle richieste degli studenti controccupanti la spinta del movimento mi sembrò perdere mordente e infatti di lì a poco la capitolazione fu definitiva.
In quegli anni ho sfiorato la vita di una persona che invece ha ceduto alle lusinghe delle Nuove Brigate Rosse macchiandosi di una colpa gravissima. Quella fu una vicenda che mi fece capire quanta retorica può esserci in un movimento che si fregia di parlare per conto del “proletariato”, quanto può essere inutile e poco rappresentativo se ad arrogarsi il diritto di parlare, agire e uccidere per conto del proletariato sono dei borghesi che non sanno neppure cosa significhi essere proletari.
In generale invece, tornando al ’68, ho sempre pensato che la vera eredità del ’68 si deve ricercare nel ruolo dei Paesi in via di Sviluppo che si distinsero come veri protagonisti a livello mondiale.
Il ’68 raccontato da Paco Ignacio Taibo II è la fotografia chiara di un breve e importante capitolo della storia messicana. La sua voce è appassionata, emozionata in alcune pagine, sincera.
“Se siamo tutti personaggi di un romanzo scritto su una dannata Olivetti senza nastro, se viviamo nel tentativo di restare fedeli al personaggio che abbiamo inventato per noi stessi, non c’è il minimo dubbio che il protagonista abbia preso forma nel ’68, che i suoi migliori gesti […] si siano plasmati proprio lì, e siano vissuti cercando di imitarlo con maggiore o minore fortuna”.
Mi è piaciuto moltissimo ’68, è una lettura che introduce ad altre letture, che spinge alla ricerca, la scrittura di Taibo II ha i toni di una conversazione fatta per ricordarsi e per riferire agli altri una testimonianza che non può andare perduta, che deve entrare di diritto negli archivi storici a beneficio di chi vorrà ancora cedere al fascino del passato, di chi vorrà conoscere i lasciti delle passate generazioni e farne tesoro.
’68 di Paco Ignacio Taibo II
Traduzione di Simone Cattaneo
Prefazione all’edizione italiana di Gianni Minà
Prologo di Elena Poniatowska
Mimesis edizioni
Pg 150 Brossura € 13,30