E(li's)booksBaionette a Lhasa di Peter Fleming

L'invasione britannica del Tibet.

Il libro di oggi è Baionette a Lhasa di Peter Fleming

Il libro

L’invasione del Tibet nel 1904 è uno degli avvenimenti più incredibili della storia imperiale britannica. Concepita da Lord Curzon come una mossa strategica all’interno del Grande Gioco – il colossale scontro in atto fra Londra e la Russia zarista per il dominio dell’Asia centrale – fu condotta maldestramente e sulla base di debolissime motivazioni. Guidata da Francis Younghusband, soldato, esploratore e mistico, la missione politico-militare incappò nel fuoco diplomatico incrociato della Cina e della stessa diplomazia inglese e terminò nella vergogna e nel risentimento misto a disgusto dello stesso Younghusband. Nel ricostruire questa avventura e i suoi protagonisti, a volte carismatici, spesso grotteschi, Peter Fleming illumina quello che oggi è visto come un momento chiave in quel Grande Gioco i cui echi continuano ancora a risuonare all’interno del suo spazio geopolitico. Lo fa, come egli stesso racconta, “dall’interno”, e non semplicemente da storico. Scolpisce una trama colma di sentimenti umanissimi: l’ammirazione per l’imponenza dei monasteri, lo spaesamento di fronte alla vastità degli altipiani, la paura dell’incontrollabilità della natura. Il tutto con una lingua colta e fiorente di citazioni letterarie (Shakespeare su tutti). Perché, eccezion fatta per i suoi attori principali, nessuno come lui può vantare una conoscenza di prima mano, frutto di viaggi, vagabondaggi, esplorazioni, di quel centro-Asia fatto di altipiani e montagne, monasteri buddisti e laghi salati, venti aspri, pony dal pelo scarruffato, gente rozza, voci che girano intorno ai fuochi di sterco di yak…

La mia lettura

Rieccomi a proporre una lettura che racconta Il Grande Gioco, un reportage accurato e incalzante di Peter Fleming: Baionette a Lhasa. L’invasione britannica del Tibet.

Protagonista indiscusso è un personaggio storico che personalmente non avevo mai approfondito: Francis Younghusband, l’uomo a cui la Gran Bretagna affidò l’incarico di occuparsi del Tibet per contrastare la Russia. Younghusband occupò senza grandi difficoltà Lhasa e trovandosi impossibilitato ad aprire un colloquio con il Dalai Lama che aveva lasciato il Tibet, agì diversamente, si rivolse al reggente Ganden Tri Rinpoche (dga’ldan khri rin po che) e a tutti i funzionari di alto rango presenti e stipulò una sorta di trattato «bilaterale». Il documento imponeva al Tibet di aprire le frontiere ai commercianti dell’India britannica, di non applicare dazi, di corrispondere a Londra 2,5 milioni di rupie come indennità vietando anche di intrattenere relazioni con potenze terze senza approvazione degli inglesi.

Nell’introduzione l’autore scrive:

Nell’avventura politico-militare descritta in queste pagine non c’era nulla di inevitabile. I suoi scopi principali erano radicati in un errore. Quando si realizzarono, erano già stati dimenticati. Le conquiste furono in gran parte rinnegate e il loro strenuo comandante venne censurato. L’incursione britannica in Tibet fu una bella impresa d’armi e una notevole prova di pionierismo diplomatico. Dall’esterno pare una vicenda di cappa e spada, romantica e lineare: invece, la sua storia interna è ambigua e confusa e le conseguenze non sono edificanti. Su di essa pende, come accade per certe indiscrezioni, un’aura di rammarico e di imbarazzo.”

L’idea che si era fatto Younghusband era riuscire, con quell’impresa, a riscattarsi raggiungendo il successo che riteneva di meritarsi invece alla fine un massacro di civili trasformerà questa “impresa” in qualcosa di cui vergognarsi.

Ma il beneficiario immediato dell’impresa che Curzon aveva appoggiato fu il potere cinese di cui aveva deriso le pretese in Tibet come «finzione costituzionale». Gli inglesi, espellendo il tredicesimo Dalai Lama, avevano ricreato quelle condizioni di disunione senza leader che meglio si adattavano alla politica cinese e che, grazie alle morti precoci della nona, decima, undicesima e dodicesima Incarnazione 152, avevano ottenuto per quasi un secolo; avevano inoltre espulso il Dalai Lama, attraverso la Mongolia, verso Pechino, dove gli venne impartita una dura lezione. E avevano abrogato il diritto, procurato loro da Younghusband, di tenere d’occhio gli affari a Lhasa. Così – scrive Lamb – il risultato più evidente della missione di Younghusband… quello di aprire il Tibet a una riaffermazione dell’autorità cinese.[…] Lhasa tornò ad essere ancora una volta una Città Proibita, e il modo in cui i cinesi sfruttarono il loro piccolo successo diplomatico è ben sintetizzato da un accorto studioso dell’epoca. «Rinunciando a un rappresentante britannico a Lhasa, la Gran Bretagna si era intenzionalmente negata il diritto di tenersi in stretto contatto con il Governo tibetano e i cinesi furono in grado di realizzare i loro piani senza alcuna opposizione.”

Come dicevo è un reportage storico, un saggio di geopolitica scritto con tutte le sfumature di cui era capace un “giornalista viaggiatore”. Notevole fu il lavoro di ricerca e lodevole lo sforzo di farsi strumento di indagine per il lettore che è chiamato a giudicare da solo gli eventi storici.

La Postfazione di Stanley F. Ukridge traccia un ritratto efficace di Peter Fleming, è un piccolo saggio nel saggio.

Baionette a Lhasa è il classico libro di storia da tramandarsi, da tenere in libreria insieme agli altri volumi che raccontano Il Grande Gioco.

Baionette a Lhasa. L’invasione britannica del Tibet di Peter Fleming

Traduttore: Fabrizio Bagatti

Editore: Edizioni Settecolori

Collana: Foglie d’erba

Anno edizione: 2021

In commercio dal: 22 aprile 2021

Pagine: ill. , Brossura € 24,70

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