Per quanto ci rassicurino più i punti esclamativi che quelli interrogativi, niente è più magnetico che aprirsi ad una domanda sopratutto se essa spinge l’uomo (ἔξοδος ) ad uscire dalla propria letargica comfort zone mentale.
Ed è una domanda iniziale ciò che illumina la ricerca del nuovo saggio di Luca Grion edito per mimesis edizioni dal titolo Chi ha paura del post umano? vademecum dell’uomo 2.0 dalla cui lettura ricavo un generoso contributo a non farsi sopraffare dal trapasso epocale di cui noi siamo al tempo stesso spettatori e attori oltre che ad entrare nelle sabbie mobili di un dibattito non facile e che ci costringe a riprendere l’ars interrogandi, quell’attitudine, scriveva Jean Jacques Rousseau nella Nouvelle Eloïse (1761) visibile più nei maestri che nei discepoli.
Poiché viviamo non in un’epoca di cambiamento ma in un cambiamento d’epoca, l’autore è, sin dalle prime pagine, consapevole di maneggiare una questione scottante la quale è motivo di fervente entusiasmo e di crescente timori ovvero il senso umano nella tecnica con le relative ragioni e obiezioni. Le pagine ricompongono la disputa sul piano filosofico sulle straordinarie potenzialità della scienza e della tecnica, sulle loro capacità di modificare i dati biologici umani, sulle ricadute etiche e e implicazioni socio-esistenziali.
Partendo dal titolo non è a mio avviso, un caso che venga utilizzato il termine “paura” che è altra cosa (linguisticamente parlando) dal terrore. In questo senso la domanda è carica di densità e possiede una potente radice biblica: si legge infatti nel libro dei Proverbi (9,10) che principio della sapienza è timor domini dove timore sta paradossalmente per inizio e al tempo stesso limite. Tuttavia l’apparente significato privativo non è un ostacolo ma il punto di avvio della ricerca e della costruzione di senso; e con buona pace di chi vorrebbe celebrare il funerale dell’uomo, Grion avverte che l’umanità – evocando profezie antiche – vive un lungo un travaglio e si dirige verso un tempo nuovo, come una farfalla che nasce da un bruco in metamorfosi e si lancia verso il volo.
Il saggio di Grion quindi esplora per i lettori l’arcipelago variegato di contributi intorno al post umano: Si parte da una ricognizione puntuale intorno al tema (status quaestionis) su quanto scritto e asserito, si mettono in campo le ipotesi e si confrontano tutti i possibili apporti ermeneutici. Se ne ricava un libro davvero molto denso, una guida ragionata sul tema, un tentativo riuscito per fare un punto su questioni cruciali di oggi e di domani che fino a poco tempo fa sembravano materia di letteratura e di film fantascientifici. E invece – direbbe l’autore – il post umano è tra noi e ne troviamo influenze nell’eugenetica “liberale”, nelle correzioni del DNA come nelle dispute sulla fecondazione eterologa o intorno all’intelligenza artificiale e l’autodeterminazione dei robot. Sono accenni di questioni complesse che richiedono il giusto tempo critico, obiettivo centrato a seguito della lettura del libro.
E tra le tante considerazioni affrontate vale la pena soffermarsi su un punto etico importante ruotante intorno al mantra dell’umanità plurale libera (e padrona di sé) da ogni fissismo ideologico, la quale scommette sulla tecnica non solo come strumento emancipatorio (vivere più a lungo e bene) ma come unica a dettare l’agenda della storia, unica a spiegare i problemi e a pretendere di risolverli. L’autore, ciononostante, invita il lettore a non sovrapporre l’ingegno con il congegno e a non separare – si legge – l’essenza della tecnica dal suo senso. In altre parole, non è il semplice essere della tecnica a spiegare tutto ma è soprattutto il suo pro-essere il fattore più importante e decisivo.
Nel libro si parla, quando si giunge all’epilogo, dell’ insopprimibile vocazione a vivere in relazione con se stessi, con gli altri e con il proprio tempo: e questo perchè, se è vero che le parole hanno un senso, dire migliore non vuol dire “esente da difetti”. Dunque non ci si potrà mai (e menomale) congedare da quel timor iniziale, da quei limiti (confini) costitutivi dell’uomo che la filosofia post umanista pretenderebbe di annullare. Questi stessi limiti paradossalmente potenziano la stessa tecnica, la includono in un progetto comune, la forniscono senso e orizzonte vasto.
Bisogna quindi passare dalla fruizione inutile (e frustrante) al “mercato” utile e unitivo, come insegna la logica e la teo-logica definendo infatti “economia” quella capacità di mettere in circolo il progresso e creare relazioni armoniche. Sta qui lo sbocco dell’«intelligere» che deve comprendere – ci ricorda Paolo di Tarso – l’asserto a vagliare e pesare tutto, ma a trattenere e conservare ciò che è bello e buono.