Ma Reggio Emilia è poi davvero una realtà di provincia? Il fatto di non esser stata mai capitale di un ducato, di non aver avuto una corte, basta a definire una cittadina come “provinciale”? E il concetto di “provincia”, va sempre considerato con un’accezione negativa?
Ci mette su una bella pezza il sociologo Massimiliano Panarari quando scrive nel volume Un salto da Nino. Abbecedario della Libreria del Teatro (Consulta Libri Progetti, 2021, 240 pagine, 18€) a cura di Pierluigi Tedeschi ,“Perché l’Italia è, da molti punti di vista, una ‘grande provincia’, ed è in questi territori non metropolitani che sono state presenti antenne molto spiccate e sensitive in grado di avvertire movimenti di idee che avvenivano sullo scenario nazionale o su quelli internazionali e di trasportarli in loco. Ed è nella provincia italiana che si sono svolte, non di rado, sperimentazioni culturali di livello, esportate in seguito al di fuori dei confini territoriali.” (198).
Un’unica grande città, da Piacenza a Rimini
Queste sono alcune delle domande che mi pongo da diversi anni riguardo alla cosiddetta provincia italiana, con particolare riguardo verso quella grande città sulla Via Emilia che ha la sua periferia ovest a Piacenza, quella est a Rimini, e il suo centro fra Bologna, Modena e Reggio. Tessere di un mosaico urbano unico, senza soluzione di continuità se visto da un satellite in orbita attorno alla Terra, ma di difficile distinzione anche spostandosi in motorino lungo la consolare romana. Reggio, Modena, Parma, Bologna, certo; ma anche Carpi, Correggio, Novellara, Guastalla, Scandiano e molti altri borghi: tutte in fondo “Las Vegas in minore” per dirla con Guccini. “Luci gialle e blu nella notte”, secondo Pier Vittorio Tondelli, con i neon intermittenti che, negli anni, sono stati sostituiti da led più economici e soprattutto ecologici.
La storica Libreria del Teatro di Reggio Emilia
È intriso di cultura emiliana e reggiana questo Un salto da Nino. Un libro delicato, intenso, che è una dichiarazione d’amore in memoria di Nino Nasi (1927-2016), l’agente culturale della città. Nasi scelse, nell’estate del 1960 – pochi giorni prima di quel ferale 7 luglio dei “morti di Reggio Emilia” – di rilevare la storica libreria “Nironi e Prandi” di via Francesco Crispi 6. Due passi dal Teatro Municipale Valli.
È difficile definire chi o cosa fu Nino Nasi per Reggio Emilia, l’Emilia, l’Italia e il mondo editoriale nostrano. Libraio e basta, temo non dia l’idea. A lui, che ho avuto modo di conoscere una volta circa dieci anni fa, sarebbe forse piaciuto in chiave sardonica il termine dispregiativo di “bottegaio”: nel senso però di colui che tiene viva una bottega storica. I locali della sua libreria, infatti, risalgono addirittura al 1859, quando nel nord della nostra penisola le librerie, come i caffè letterari, erano genius loci, fucine di discorsi e movimenti politici. Da un punto di vista architettonico luoghi volutamente angusti e labirintici (io che son romano vado con la mente subito al Bar Notegen di via del Babuino), pensati proprio per essere sicuri di tenere a bada origliatori e spie. Luoghi di subornazione contro il sistema asburgico. In generale luoghi di pensiero, di libertà di parola e infinita controcultura.
Nino Nasi, ambasciatore culturale e mentore
Nino Nasi è stato, in questo senso l’ambasciatore culturale di Reggio Emilia e soprattutto delle sue minoranze, degli emarginati di ogni colore. Nella sua libreria stretta e dedalea, fatta a cunicoli di pile di libri apparentemente affastellati senza alcun criterio (e in realtà dove Nino sapeva afferrare hic et nunc ogni e qualunque volume intendesse trovare) Nasi ha ospitato e protetto cultori del pensiero anarchico, massimalisti sconfitti e menscevichi fuori moda, rivoluzionari rossi e neri, scrittori e lettori omosessuali, e una infinita quantità di giovani squattrinati ma desiderosi di poter leggere le ultime novità del loro tempo.
Fossero beat generation, artisti di strada, amanti del poeta fascista Ezra Pound o dell’ideologo anarchico Bakunin, la Libreria del Teatro era l’anfratto di tutte le anime in pena, dove si era certi di poter trovare ciò che si cercava. Soprattutto, qui si potevano scambiare due chiacchiere non superficiali con il suo magnifico Caronte. Un uomo aquilino ma dal sorriso dolce. Un vero e proprio mentore per molti personaggi non solo emiliani. Nasi era a sua volta un piccolo editore e il trait d’union con mastodonti dell’editoria quali Feltrinelli e Bompiani, realtà per le quali divenne di fatto un curatore di bozze, un editor diremmo oggi, felice di scrivere di volta in volta una letterina per mettere in luce i refusi, gli errori e gli orrori pubblicati e stampati.
Alla maniera di Borges
Il volume di Tedeschi, sulla falsa riga del Libro degli esseri immaginari di Jorge Luis Borges, elenca al modo alfabetico, e dunque arbitrario, una tavola degli elementi culturali che hanno costituito la Libreria del Teatro di Nino Nasi. Ne vien fuori un ritratto impressionista, a piccoli tocchi di pennello. Il curatore dà la parola a una serie di personaggi reggiani di ogni colore culturale e politico che hanno avuto in Nasi un punto di riferimento e spiegano come sono stati ascoltati e accolti da lui, mai giudicati. Nasi al massimo stroncava determinati libri pubblicati dai leviatani dell’editoria, inserendo bigliettini scritti a penna fra le pagine del malcapitato tomo con su scritto “Sconsigliato dal libraio”: c’è tutto Nino, in quei contro-suggerimenti.
Tedeschi poi riproduce una selezionatissima scelta di documenti, come la dedica che Tondelli fece a Nasi chiamandolo “Magister vitae”, o la lettera che Inge Feltrinelli scrisse al libraio in occasione dei 30 anni della casa editrice, firmata di proprio pugno.
Il rapporto speciale con Pier Vittorio Tondelli
Proprio con Tondelli il rapporto si fa profondo e particolare. Nasi non solo offre al quindicenne e confusissimo “Vicky”, portato qui ancora dai suoi genitori, un parere onesto e attento da critico ai suoi ur-testi. Gli propone soprattutto un anfratto culturale dove ricavare accesso ad autori, libri e fanzine non chiedibili in biblioteca. In seguito, diventati amici, gli instilla una serie di passioni e hobby poi fatte proprie del correggese: l’amore per i viaggi, per la fotografia, per le visite ai cimiteri monumentali, per la poesia di determinate penne mittel-europee. La sconfinata passione per Il piccolo principe, di cui Nasi è stato il più grande collezionista di edizioni a stampa del mondo, probabilmente. Vengono alla mente relazioni di grandi mentori come Leucippo e Democrito, o per andare al cinema, il professor Keating e gli studenti della sua scuola ne L’attimo fuggente.
In conclusione, il libro di Tedeschi è un libro necessario e utile che getta una vela di luce su quanto sia poliedrico e colorato il caledoscopio culturale di Reggio Emilia e, in generale, delle mille “piccole città” d’Italia. Senza le quali quel che accade a Roma, Milano, Firenze, Bologna sarebbe senza dubbio meno ricco di mordente. La molla che spinge via dal proprio “bastardo posto” è una molla che finisce coll’attirare a sé, ma solo dopo aver fatto esperienza del mondo. Ecco una cosa che chi nasce nel cuore di una metropoli fatica a sentire.