PromemoriaGrillo Conte e il carisma perduto

Guerra di posizione e di passaggio carismatico. Un già visto in passato ma una porta stretta per i cinquestelle per diventare grandi

Mentre si scrive,  il finale sulla “frantumazione” (copyright Floris) del movimento cinquestelle  è tutto da scrivere e i giochi sono apertissimi. 

La questione è un caso accademico di transizione tra carisma del fondatore e carisma dell’istituzione quando una realtà politica ineluttabilmente deve passare da “movimento” a stabile che non vuol dire immobile. Ebbene, i cinquestelle sono obbligati a farlo non fosse altro che movimento (loro) non lo sono più da molto tempo.

Sono passati due governi e mezzo (il gialloverde, il giallorosso e l’esecutivo  Draghi felicemente regnante) da quando i pentastellati sono maggioranza relativa in parlamento. Nelle due Camere essi  possiedono “in solidum” oltre il 30 % dei seggi e sono – fino alle prossime elezioni – determinanti per la tenuta politica del paese. Certo, hanno perso consensi ma sono costretti all’evoluzione e alla maturità politica trovando  una regula vitae che li faccia stare per una volta tanto fermi e coerenti con un progetto credibile accanto al PD e a tutto il centro-sinistra rimanente, qualsiasi cosa attualmente significhi questa definizione.  Un processo che sarebbe utile al paese per ritrovare un equilibrio dialettico tra un centrodestra ri-confederato (al partito unico non ci crede nemmeno chi lo ha ipotizzato) e un’area progressista che però deve progredire se no va tutto a ramengo. 

E’ chiaro che Grillo sia stanco dell’esistenza, annichilito su se stesso, quasi annoiato nel suo stesso muoversi. Si agita prima-durante e dopo  l’uso con cambi di umore distruttivi e con asserzioni quasi sempre prive di senso. In un tempo (pandemico oltretutto)  che ha bisogno di abbassare il tasso di rumore e di fuffa a tal punto che persino Salvini e Meloni sembrano “dorotei” (gulp!)  il fondatore dei cinquestelle in cerca del carisma (dall’interno lo si etichetta addirittura come “bollito”) avrà intuito probabilmente  che il passaggio (traditio) a partito della riforma Conte lo avrebbe spento per sempre. L’aggravante di questo dramma è stato anche l’aver incoronato l’ex premier in modo diretto (l’Elevato)  senza un passaggio interno su Rousseau, o una  consultazione tra i gruppi parlamentari, oppure un congresso o l’indizione di  primarie etc.). Sono questi gli errori di sintassi politica che hanno generato la contraddizione nel M5S (condivisa ormai con tutte le altre forze politiche leaderistiche attuali) ma che vanno risolte per non sfasciare tutto a partire da un nuovo vocabolario resosi necessario dalla forza degli eventi. Come dice Ferruccio De Bortoli è inutile considerarsi ancora una controparte del potere se antisistema non lo si è dal 2018. 

I cinquestelle – insomma – farebbero bene a scendere sulla terra, fare un bilancio della loro azione di governo (cose buone e cattive come nella natura delle cose) e finirla con l’artificio  stucchevole e paraculo di predicare virtù che loro stessi non sono in grado di estroflettere.  Del resto sono ancora in campo  a patto però che passino per la porta stretta della riforma interna, provare a darsi una traiettoria e offrirla alla loro base e al paese. 

Per questi non più guys viene in mente il claim pubblicitario di tempo fa: ne devi fare di strada, bimbo/se vuoi sapere come è fatto il mondo/

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