Il libro
Müchela, Iena. Un amico è morto. Mirko torna, per il funerale, nel paese che l’ha visto crescere nella Bassa milanese. Tra infanzia e adolescenza, si srotola il filo dei ricordi che lo lega alla Band del Nord, slabbrata armata di ragazzini che hanno dichiarato guerra all’universo intero e soprattutto alla periferia sud. Questi mondi si urtano, lasciandosi addosso lividi che verranno sanati forse solo durante la messa funebre. Un romanzo di formazione. «La regola aurea è nota: vieni da giù? Stai nella zona nuova, destinato a delinquere. Sei nella parte vecchia? Allora da figlio del Nord opti solo per qualche droga al parchetto, nulla che non passi dopo l’adolescenza. Mescolarsi comunque non è previsto, perché moglie e buoi sono una questione di vicinato, non più solo di paese». Una storia per chi ha attraversato la fanciullezza in sella a una bici. Per chi ricorda limpida la sensazione del primo lunedì delle vacanze estive. Per chi ha vissuto l’inverno dentro e fuori. Per chi, bersaglio di pregiudizi, si è fatto scudo con la vera amicizia. Per chi è convinto che leggere e amare siano la stessa cosa.
La mia lettura
Leggendo Müchela, Iena di Vincenzo Trama ho pensato subito, per la ferocia che caratterizza il gruppo dei giovanissimi protagonisti, a Il tempo materiale di Giorgio Vasta (romanzo che amo molto).
Se vi state chiedendo cosa significa müchela ve lo dico io che ho vissuto qualche anno a Milano, vuol dire una cosa tipo “falla finita”, “smettila”, nel dialetto della “bassa” che è incomprensibile tanto quanto il dialetto dell’entroterra sardo e Iena è il soprannome di uno dei personaggi.
Questo romanzo mi è piaciuto moltissimo per diverse ragioni: per la scrittura di Vincenzo Trama che riesce a farti sentire il caldo asfissiante della provincia lombarda in estate, l’umido della nebbia invernale, ti fa vedere chiaro il cemento delle case tutte uguali, mi è piaciuto per l’amarezza che lo pervade, per questi personaggi figli di un sottoproletariato urbano le cui aspettative per il futuro non hanno motivo di prospettarsi rosee.
I piani narrativi sono due, la voce narrante racconta della sua vita nei primi anni Novanta, appena undicenne e del momento che sta vivendo, a trent’anni.
I discorsi dei personaggi ragazzini sono lo specchio dei discorsi degli adulti e lo intuiamo facilmente, il razzismo, l’odio preconcetto, l’escludere a priori, il paragonare un campano ad un africano, sono gli anni ruggenti della Lega Lombarda, poi Lega Nord, che si è inserita nel vuoto che lasciarono i partiti storici tutti travolti da Tangentopoli.
Vincenzo Trama non fa riferimenti particolarmente espliciti al partito di Bossi, tuttavia i suoi personaggi incarnano perfettamente il carattere “esclusivo” da cui è nato.
Impressionante è la risposta “primordiale” di questo gruppo di ragazzini che non ha alcuna difficoltà a cedere alla violenza verso i coetanei del tutto uguali a loro, solo con un accento diverso.
“E’ la prima volta che ho la netta sensazione di comprendere il significato della parola vergogna. Mi vergogno per lei e per me. E per la nostra comune condizione di paria: mamma, cazzo, non saremo mai come loro. Non ce lo permetteranno mai”
Quello che “brucia” è proprio questo, la consapevolezza di non potercela fare e Mirko a undici anni è più lucido dei suoi genitori che hanno bisogno più di lui di illudersi del contrario, Mirko è nato in Lombardia ma non basta.
“Mio padre alza le spalle, abbozzando. Per lui va tutto bene: la Lega? Un gruppetto di buontemponi. La nebbia? Un mito del Sud. Io? Un ragazzino socievole benvoluto da tutti.”
Vincenzo Trama ci racconta dell’Incis, di come è nata quella periferia di casermoni anonimi pronta ad accogliere la brava gente del Sud con i suoi panni stesi e l’odore di melanzane fritte.
Mi è piaciuto molto il racconto delle lotte tra bande a Carnevale perché al mio paese, quando ero piccola, era proprio così, uscire sarebbe stato da pazzi per una ragazzina o un ragazzino normale che non voleva trovarsi invischiato in colluttazioni brutali farcite di uova e farina.
Toccante la parte invece in cui Mirko tira le fila e ritroviamo suo padre che oramai è in preda ai ripensamenti, alla saudade per il suo paese di origine, la madre che invece ha imparato a forza a ordinare la michetta e si lascia sfuggire perfino espressioni dialettali, segno di quella integrazione basica in un territorio che non ha mai dato segno di volerle bene.
“Mio padre ci è morto così, sognando angoli brulli della sua infanzia, una giovinezza ricca di speranze al Nord, una maturità triste e nebbiosa, una vecchiaia lugubre, senza niente a cui tornare. “
Alzi la mano chi vivendo al Nord non è stato costretto a tacere ascoltando discorsi razzisti, per non inasprire ulteriormente la propria condizione di forestiero.
Gli anni Novanta sono passati ed è cambiato poco o niente se pensiamo all’eurodeputato che appena qualche settimana fa ha affermato : “Se si ammala un lombardo, economicamente, da imprenditori, vale di più rispetto a un laziale” e il “Prima il Nord” di un ministro della Repubblica ha campeggiato indisturbato sulla sua pagina internet fino a qualche giorno fa dunque Müchela, Iena di Vincenzo Trama tocca più di un nervo scoperto, mette sale sulle ferite che sanguinano ancor più copiosamente se pensiamo al dilagare della sindrome di Stoccolma tra quelli che nelle periferie del Nord, ancora oggi come vent’anni fa sono disprezzati e ghettizzati eppure non esitano a votare Lega, nonostante tutto.
“Alla gente basta avere un bersaglio facile, che non si possa difendere … una minoranza, un nero, un povero, uno diverso come noi … capisci?”
Quanto calore ho trovato in questo romanzo, quanta umanità, sentimenti raccontati con tale maestria che può scapparci anche la commozione, ho pensato a John Fante, ad un Arturo Bandini di casa nostra, quanto mi è piaciuto Mirko, quanto mi è piaciuta sua madre.
Bravissimo Vincenzo Trama
Müchela, Iena di Vincenzo Trama
Editore: Spartaco
Collana: Dissensi
Anno edizione: 2021
In commercio dal: 27 maggio 2021
Pagine: 176 p., Brossura € 12,00