Questo è la prima recensione post vacanze, vi racconto Un diluvio di veleno di Jordan Farmer
Il libro
Hollis Bragg è il figlio deforme di un predicatore delle colline della West Virginia, negli Stati Uniti. Vive isolato in una zona rurale vicino al guscio carbonizzato della chiesa del suo defunto padre e si guadagna da vivere scrivendo canzoni per una famosa band che ha abbandonato la povertà dei monti Appalachi e non è più tornata. Nessuno conosce il suo segreto, nessuno sospetta che in lui convivono il grottesco e il sublime: una spina dorsale ricurva che lo tormenta, una musica gloriosa che lo ossessiona. Quando una devastante fuga di sostanze tossiche avvelena le acque locali la situazione precipita, con Hollis che viene stanato nel suo rifugio, diventa testimone oculare di un omicidio, patisce un odioso tradimento e deve infine venire a patti con il suo corpo e con il suo passato. È arrivato per lui il momento – come per tutti – di scegliere se rimanere aggrappato alle sicurezze, alle consolazioni offerte dalla solitudine, o aprirsi al mondo e al futuro accettando il fatto che “nulla è mai completo e il massimo che possiamo sperare sono dei momenti di grazia nel grande arco della dissonanza”. Ambientato in uno dei tanti angoli di mondo dove convivono povertà, fanatismo religioso, superstizione, pretese di autosufficienza, “Un diluvio di veleno” è un romanzo sui corpi deboli della società, sul corpo malformato di un uomo, sulle cicatrici impresse dai sogni mancati.
La mia lettura
Un diluvio di veleno parte dalla storia personale del protagonista, Hollis, per affrontare anche un problema gravissimo e molto comune in diversi stati americani: l’ acqua. Il romanzo è ambientato in West Virginia e racconta un evento realmente accaduto, dopo la fuoriuscita di sostanze nocive da una fabbrica il fiume Elk è stato contaminato e i veleni si sono infiltrati negli impianti di trattamento dell’acqua. Centinaia di persone furono costrette al ricovero ospedaliero e 300.000 famiglie rimasero senza acqua potabile in casa e senza acqua per lavarsi, la situazione era tale che l’allora presidente americano Barack Obama ordinò alla Guardia Nazionale di inviare autocisterne con acqua pulita anche nelle zone più isolate.
“In questo stato abbiamo trecentomila residenti senza acqua potabile”
«Quante bottiglie d’acqua avete a disposizione?» Domando.
Walter fa un sorso. «Ne abbiamo portato un bagagliaio pieno, ma l’hotel ha comunque una riserva».
Non si sta vantando. Non gli è passato per la mente che io non mi sono lavato, o che questo potrebbe essere il mio primo bicchiere da giorni pieno di qualcosa che non sia Coca-Cola.”
Il fascino di Un fiume di veleno di Jordan Farmer io l’ho ricondotto sia allo stile narrativo che lascia ampio spazio all’approfondimento psicologico ed emotivo soprattutto del protagonista, sia anche nell’ambientazione.
«Gli Appalachi sono il posto ideale per il grottesco. Non credi?».
«Un paese di faide, fatalista. Mezza città ha almeno un uomo che è morto in miniera. Qualche parente che ha fatto i picchetti durante gli scioperi. Rispetto al resto dell’America, noi siamo diversi.”
Il territorio, il paesaggio, in questo romanzo sono una parte fondamentale dell’identità del protagonista che mostra un forte senso di radicamento che nulla ha a che vedere con il contesto sociale. Il paesaggio in questa storia diventa “intermediazione culturale”, la violazione della natura, della terra e dell’acqua diventano la via d’accesso per un’apertura alla comunità da parte del protagonista.
Una storia fatta di ambiguità, del poco amore paterno:
“Quando mio padre ebbe quella che definiva “la chiamata del Signore”, sapeva che nessuna chiesa della città era adatta a lui. La sua dottrina era troppo arcaica, le richieste troppo pie. I rituali del suo culto presentavano stranezze simili: una benedizione di apertura con la voce ruvida di mio padre, seguita da una breve lettura di uno dei brani più rabbiosi della Bibbia. Sempre i passi del VecchioTestamento in cui si ricorda il costo della disobbedienza alcuna enfasi sulla misericordia.”
La diversità e invalidità di Hollis è stigmatizzata dalla religione di cui suo padre è fondatore:
“Ero stato bandito dal tempio dopo che l’unzione di Lady Crawford aveva fallito nell’intento di guarirmi. Il libro del Levitico dice che nessun uomo con un difetto fisico può avvicinarsi all’altare, perciò io ero costretto a restare fuori e ad ascoltare le funzioni da lì.”
Ogni personaggio sembra avere poco o nulla di morale, di compassionevole:
Caroline, ambigua, anche immorale
Russell, crudele
Victor, delirante
Angela, opportunista al 100%
La storia si alterna tra flashback e i cosiddetti giorni della contaminazione (dell’acqua), cinque giorni.
Un diluvio di veleno è il racconto di una crescita, il disvelamento di una identità che esce dall’ombra e si mostra con le sue sfumature, con le sue paure in balia di nuovi aggiuntivi traumi.
Nonostante sia una storia dolorosa non sono riuscita a fare a meno di scorgere una scintilla di coraggio, di speranza, di luce.
Un romanzo che si legge tutto insieme anche perché ti tiene in sospeso e hai voglia di arrivare in fondo.
Attualità, psicologia, l’affascinante America degli Appalachi, la musica, ho trovato The Cramps i pionieri del punk rock i T.S.O.L. Hardcore Punk band della Orange County (California). Tanti ingredienti per una bella storia.
“Ho sempre disprezzato il concetto di elegia e il modo sleale in cui un trauma lavora sulla mente. È già successo. Non appena tra me e Angela finì, lei divenne una santa.”
Un diluvio di veleno di Jordan Farmer
Traduttore: Gianluca Testani
Editore: Jimenez
Anno edizione: 2021
Pp 266 Brossura € 18,00