La possiamo girare come si vuole ma sia chiaro che lo scontro tra Giorgetti e Salvini non nasce con il mini affaire dell’ex guru Morisi, protagonista di una vicenda che lo stesso procuratore di Verona considera in se stessa “banale” per quanto in queste ore essa da un lato spande benzina tossica sul web interpretata come il punto più alto del moralismo da tastiera 4.0; dall’altro (qui più seriamente) s’impone come tema di discussione sull’uso bestiale della propaganda tramite il web.
Ciò detto, il solco tra i due big della Lega è preesistente alle ultime vicende, e in fondo la differenza stava nelle cose se si considerano in sinossi le differenze macroscopiche tra i due, il loro profilo umano e culturale, le solidità di relazioni e competenze, il mood comunicativo e il pedigree amministrativo e gestionale.
Adesso che la diatriba è a livelli di showdown, pensando al proverbio per cui «quando il saggio indica la luna, lo stolto guarda il dito» – comprendiamo che per la lega in gioco ci sia il futuro nonostante un presente incerto. Una Lega da ripensare dentro però un orizzonte più vasto, all’interno di un quadro d’insieme che investe il piano nazionale ma – non sembri esagerato – anche la dimensione geopolitica europea. La lega delle dirette sui tetti, delle sciocchezze un tanto al chilo, delle felpe e dell’alimentazione isterica non ha più appeal insomma.
E difatti mentre Salvini è ancora imprigionato dentro un delirio Meloni-fobico che lo ha portato a sbagliare tutti goal a porta vuota, con Draghi premier e la Lega tornata di governo, con i cinquestelle ridimensionati e ammaccati, il Pd in fase esoterica, con il vantaggio di avere le regioni amministrate dai “presidenti” di area. Eppure le ha sbagliate tutte e di conseguenza Giorgetti prova a traghettare il “carroccio” un partito che – a trazione salviniana – non va più da nessuna parte ed è alla ricerca di principi che la definiscono, la delimitano, la indicano, la distinguono come forza credibile di governo. Tutto questo potrà avvenire a meno che il “capitano” non esca da questa labirintite oppure – paradossalmente – entri in Fratelli d’Italia come vicesegretario.
Pensate sia fantascientifico? Però da qualche tempo, non so voi trovatemi una distinzione tra un La Russa e un Borghi, un Salvini da una Santanché…
Ad ogni modo per la Lega è giunto il tempo di chiedersi cosa vuole essere per il centrodestra italiano di governo e come vuole collocarsi in ambito europeo soprattutto in questa fase di timido rilancio dei progressisti (Germania, Norvegia) e in prospettiva, dopo le presidenziali francesi, di un ritrovato rapporto con un PpE abbattuto ma non sconfitto.
In altre parole, con il progressivo ritorno al bipolarismo, la Lega tornerà alla sua anima governista-liberale? Oppure rischia di andare fuori dai radar, superata nelle sue istanze dalla Meloni?
Il processo è in atto già da noi a meno che non si voglia essere ciechi: la messa a terra del PNRR, la capacità di progettazione, spesa e realizzazione concreta di riforme propedeutiche o contestuali ai fondi previsti richiede che il centrodestra stia sul pezzo – anche in posizione complementare alle istanze di Pd-M5S – e non zavorrato da un Salvini in evidente stato confusionale. Per fare un esempio, dirsi “free vax” per giustificare i suoi parlamentari assenti nelle votazioni dei decreti green pass è una delle cose più tafazziane secondaria solo al mojito del Papeete oltretutto compiuto da lui.
Leggo di decadenza del bullo (Ferrara sul foglio) ed è vero. La tragedia – anche sotto il profilo politico-culturale – è di aver fatto il passo più lungo della gamba, la pretesa di conciliare trucismo e draghismo, mix che in natura non si dà. Poteva andare bene con i grillini che solitamente fanno fatica a capire ma mescolare la morale ultra-devozionale-intransigente dei cuori immacolati (che poi spalma fake news, oscurantismi antiscientifici e odio in rete) e l’impenetrabilità gesuitico-pragmatista di Draghi (fondata sul sul binomio discernimento-parresia ) è mossa da dilettanti, comica finché si può ma inconsistente e senza futuro.
Come ha scritto Francesco Cundari, Il leader della Lega paga la scelta con la sua segreteria di andare a pescare in qualunque sacca di malcontento e di alimentare qualsiasi fonte di destabilizzazione, nazionale o internazionale, prestandosi a tutti i giochi e attizzando tutti i possibili fuochi. Salvini era convinto di poter continuare a giochicchiare a fare il leader a gratis, senza metterci faccia, analisi, scelte e poi magari fuggire a gambe levate.
Sarà questo forse il limite che Giorgetti (e non solo lui) non intende più superare aprendo nei fatti il congresso del partito per contendere la segreteria e costruire una Lega di governo più legata alla sua base “imprenditoriale e sociale.
Una Lega meno cazzara, con o senza Salvini, forse oltre Salvini. O addirittura a prescindere da Salvini.
sic transit gloria bestiae