Si può discutere intorno al dilemma se sia più giusto ricordare a Luca Morisi le sue responsabilità nell’allestire la pubblica gogna contro gli altri, prima di finire lui al centro di un imbarazzante caso di cronaca, o se così facendo anche i suoi critici si espongano alla stessa accusa, con l’aggravante dell’ipocrisia. Ma penso che tutti possiamo convenire sul fatto che il premio per il peggiore in campo, in questa faccenda, vada assegnato senza dubbio al senatore leghista Simone Pillon.
E dire che il campionato era agguerritissimo, a cominciare da tutti i grillini indignati dallo squadrismo digitale e dall’ipocrisia del doppio standard salviniano – loro! – primo tra tutti Giuseppe Conte, detto il Coerente. Raro caso in cui lo sdoppiamento tra il se stesso che inneggiava a populismo e sovranismo e il se stesso che oggi li combatte è arrivato fino al punto da fargli fare riferimento alle sue diverse personalità, nei numerosi comizi, numerandole in ordine di apparizione («il Conte Uno… il Conte Due…»).
Nulla però è paragonabile al livello raggiunto dalle dichiarazioni di Pillon al Foglio di ieri, un tale miscuglio di insinuazioni personali, rancore e spirito di rivalsa da non meritare nemmeno la citazione (se proprio siete interessati, googlatevele da soli). Alla fine, metaforicamente parlando, l’unica vera citofonata al leader leghista – motivo ricorrente di tanti sberleffi, per via della celebre spedizione salviniana davanti al portone di casa di un presunto spacciatore, a Bologna – l’ha fatta proprio lui.
L’unico passaggio che tocca riportare tra virgolette, a dimostrazione di quanto la realtà sia sempre più complessa di come appare, è quello da cui si evince, paradossalmente, che anche Morisi ha fatto qualcosa di buono: «Luca decideva tutto: decideva chi andava in televisione e chi no. Sceglieva i contenuti. Non mi mandava mai in tv». Una perla che fa il paio con quest’altra (giuro che è l’ultima): «Dispiace vedere che Matteo, a cui voglio bene e lui lo sa, si circondi purtroppo delle persone sbagliate lasciando quelli come me in seconda fila».
Sul fatto che Salvini si circondi delle persone sbagliate non ci sono dubbi. Tanto meno possono essercene sul fatto che la più sbagliata di tutte è proprio Pillon, che nel momento di massima difficoltà, per il partito e per il suo leader, non esita a unirsi agli assedianti pur di regolare i suoi piccolissimi conti personali, definendo tra l’altro la caduta di Morisi come «giustizia divina».
E invece l’unica giustizia divina su cui Salvini dovrebbe meditare è quella che si è meritato inseguendo ogni possibile nicchia di fanatismo, comitiva di svitati, scheggia antisistema, flirtando con fascisti e no vax, potenze straniere ostili e imbroglioncelli nostrani, venditori di bufale alla Francesca Donato (che l’ha già scaricato) e oscurantisti alla Pillon (che ora gli rende questo bel servizio).
Il leader della Lega paga la scelta di andare a pescare in qualunque sacca di malcontento e di alimentare qualsiasi fonte di destabilizzazione, nazionale o internazionale, prestandosi a tutti i giochi e attizzando tutti i possibili fuochi, e soprattutto raccattando lungo un simile percorso, inevitabilmente, il personale che è ragionevole attirare quando si dicono certe cose e si usano certi metodi. Inutile stupirsi del fatto che poi, alla prima difficoltà, quel personale si dimostri quello che è. Come dicevano le nostre nonne: chi va per questi mari questi pesci piglia.
Chissà se un grano di quell’antica saggezza popolare attraverserà la mente di qualche dirigente del Pd, prima del prossimo incontro con Giuseppe Conte o Luigi Di Maio.