Oggi vi propongo una anteprima: Medusa di Martine Desjardins
Il libro
Medusa, soprannominata così dalle sorelle per una grave malformazione congenita agli occhi, è costretta a camminare a testa bassa, i capelli a ricoprirle il volto per nascondere una difformità che provoca a lei stessa una forte repulsione. Non ha mai conosciuto l’affetto dei genitori, ha vissuto sempre in una terribile solitudine all’interno di una famiglia che finirà per ripudiarla e rinchiuderla in un istituto per ragazze malformate, l’Athenæum, che si erge sulle rive di un lago infestato da meduse. Qui, accolta da una direttrice spettrale e mefistofelica, conoscerà gli abissi del genere umano grazie ai cosiddetti benefattori, che si divertono a giocare crudelmente con le loro protette. Punita più volte per i suoi tentativi di ribellione e quasi certa di aver perso ogni speranza di libertà, Medusa riuscirà finalmente a emergere, iniziando a disseminare sul proprio cammino paura e distruzione. Martine Desjardins firma un romanzo incendiario che parla della vergogna del corpo, dell’oppressione e del potere della femminilità; un capovolgimento dei rapporti di forza che getta una luce cruda e allo stesso tempo raffinata sulla mostruosità.
La mia lettura
Medusa è un esempio perfetto di romanzo gotico, l’autrice, Martine Desjardins (canadese del Quebec) ha ricreato un’ambientazione squisitamente classica e il suo stile narrativo è impeccabile.
Martine Desjardins ha scelto di ricorrere ad un tòpos letterario come l’immagine dello sguardo della donna, ha dotato la sua protagonista di un potere che le consente di difendersi, di affrancarsi, ha attinto al mito greco nel quale il concetto del pericolo insito nello sguardo femminile è ricorrente. In effetti è una figura mitica quella che incarna la possibilità di annichilimento per l’uomo: Medusa, il mostro dai connotati femminili.
L’ Ateneo (ecco che tornano i riferimenti all’antichità) dove la giovane Medusa è rinchiusa a causa di una deformità, è un luogo di dolore, la giovane è consapevole che la sua “mostruosità” è nello sguardo ma non del fatto che sguardo e occhio hanno un indubbia potenzialità di impatto e modificazione del reale.
Nel corso del romanzo Medusa si riferisce a ai suoi occhi con mille nomi (sono tutti scritti con iniziale maiuscola) le mie Anomalie, le mie Disabilità, le mie Esecrabilità, le mie Atrocità senza svelare mai in cosa consista esattamente la deformazione (bisogna arrivare in fondo alla storia per scoprirlo) ed è proprio questo mistero che spinge a leggere una pagina di seguito all’altra.
Vi confesso che le descrizioni delle torture che vengono perpetrate ai danni di Medusa e delle altre ragazze per mano dei cosiddetti “benefattori” e delle istitutrici mi hanno disturbata, c’è un sadismo e una crudeltà fuori dall’ordinario, il fatto che queste ragazzine siano così docili e remissive perché piegate dalle loro “anomalie” di cui si sentono responsabili colpisce molto, la sopraffazione è costante ed è impossibile non avvertire la tensione leggendo.
Medusa è incapace di piangere. Il pianto è un mistero che racchiude in sé la vulnerabilità dell’uomo di fronte alla vita, che rivela la nostra natura fatta prima di tutto di sentimenti e di emozioni quindi questa caratteristica della protagonista del romanzo contribuisce a renderla figura incredibilmente tragica. Il pianto fa parte di un ciclo in cui è essenziale l’auto-riconoscimento e Medusa non si è mai guardata allo specchio, non sa come è fatta.
“Come burlesche seduttrici si alzavano le gonne sopra le cosce leggere e le gambe di silfidi, esibendo senza pudore le gonadi rosseggianti. Nello specchio dell’acquario ognuna era il riflesso di me stessa.”
Crescere per Medusa significherà scoprirsi, liberarsi della vergogna che prova per un problema di cui non ha colpa.
“Ciò che mi turbava di più era il fatto di provare un piacere fisico durante le sevizie. Difatti accoglievo a braccia aperte gli istinti primitivi delle mie Sudicezze, la loro sensualità sbrigliata e le vili inclinazioni. L’indomani, però, mi svegliavano le trombe del ricordo e, costernata dalla vergogna, seppellivo la testa sotto il cuscino. Mi facevo orrore.”
Creature ai margini, questo sono i personaggi della storia, avvolte da un’atmosfera surreale in cui l’ignoranza estrema dei cerberi dell’Ateneo contrasta con la biblioteca ricchissima di libri la cui lettura è negata alle giovani ospiti e per questo enormemente desiderata.
La censura e la vergogna dunque sono il fulcro del romanzo, come la misoginia che priva del tutto Medusa della sua femminilità fino a quando non arriviamo ad assistere ad una presa di coscienza e allora ecco che il “femminile” si mostra nella sua completezza e specificità.
“Adesso ero pronta a dichiararlo: io ero Medusa. L’eterno femminino. La manifestazione del caos primordiale. La distruttrice degli specchi del mondo. Non avevo più nulla da temere − né riflessi, né ombre.”
Dicevo, all’inizio, che lo stile narrativo di Martine Desjardins è impeccabile, forse non è abbastanza dire così, è incredibilmente raffinata non solo nella prosa ma anche nel modo in cui costruisce la tensione che non allenta mai, è come leggere un thriller.
Vivamente consigliato.
Medusa di Martine Desjardins
Ornella Tajani (Traduzione)
Alter Ego, editore 18 novembre 2021
Pp 228 Brossura € 16,15