Periodicamente, la cronaca brasiliana riporta la notizia di spaventose carneficine, quasi sempre provocate dall’intervento della Policia Militar, che tuttavia non trovano nei media lo spazio che un osservatore esterno si aspetterebbe.
Una scia di sangue che non si ferma
È il caso, per restare agli ultimi mesi, di quanto accaduto nella favela do Jacarezinho, nella periferia nord di Rio de Janeiro, dove un’operazione di polizia nel maggio scorso ha lasciato sul terreno 28 morti (dove in particolare 27 “sospetti”, così li definiscono le fonti ufficiali e così riportano i giornali, sono caduti dopo che un militare è stato ucciso nelle primissime fasi dell’azione, il che fa emergere una costante di queste azioni, il fatto che la polizia spesso pare agire più per rappresaglia che per far rispettare la legge).
Oppure di quanto accaduto il 31 ottobre a Varginha, cittadina del Minas Gerais, dove un’altra operazione è terminata con l’uccisione di 25 persone (anche stavolta tutti “criminali” o “sospetti”, come erano definiti negli articoli che riportavano la notizia).
O ancora, è il caso dei nove corpi di civili rinvenuti con segni di tortura e ferite di arma da fuoco alla testa in un manguezal (terreno paludoso) del Complexo do Salgueiro, una favela di Sao Gonçalo, popoloso comune della Baixada Fluminense, nella conurbazione alle porte di Rio de Janeiro. Il macabro ritrovamento è avvenuto in questa circostanza al termine dell’operazione con cui domenica 21 novembre il BOPE (Batalhão de Operações Especiais, corpo speciale della polizia della Cidade Maravilhosa, le cui gesta sono al centro del film Tropa de Elite) ha reagito all’uccisione – avvenuta il giorno prima, durante un pattugliamento – di Leandro Rumbelsperger da Silva, un poliziotto di 38 anni.
Un triste copione sempre uguale a se stesso
Che cosa hanno in comune questi episodi, e – purtroppo – le numerose altre decine di fatti analoghi, verificatisi in tutto il Brasile solo nel 2021, in un copione che si ripete tristemente uguale a sé stesso anno dopo anno?
Sono quasi sempre opera delle forze dell’ordine, le vittime riportano quasi sempre ferite di arma da fuoco alla testa, spesso anche segni di tortura, quasi mai la scena dell’uccisione resta intatta per i rilievi indispensabili a ricostruire l’accaduto e dunque eventuali responsabilità, quasi sempre i verbali con cui queste sanguinose operazioni si concludono affermano che la vittima era un “sospetto” che ha tentato di resistere alla cattura da parte della polizia, o ha aperto il fuoco contro i suoi agenti, giustificando la reazione di questi.
Una narrazione autoassolutoria e autoconsolatoria
Anche la narrazione di tutti i media mainstream, come dicevamo in apertura, è stereotipata in modo desolante, e sembra rispondere al desiderio di esorcizzare questi episodi e il mondo di cui essi sono epifanie, le periferie urbane e le baraccopoli dove lo stato è assente, la classe media non si sogna neppure di mettere piede, e l’unica legge in vigore da sempre è quella del più forte. Un tentativo sempre uguale a sé stesso di nascondere la polvere di un modello sociale, che si fonda sostanzialmente su una rigida quanto non formalizzata divisione in caste, sotto il tappeto di una narrazione auto-consolatoria: è la eterna lotta dei buoni contro i cattivi, e per fortuna quelli che periscono sono (quasi) sempre i cattivi, bandidos, suspeitos, criminosos, sembrano ripetere giornali e tv, a una opinione pubblica ansiosa più di essere rassicurata che di capire.
Una narrazione rafforzata dai politici di tutti gli schieramenti, da Bolsonaro (uno dei suoi slogan più noti è “bandido bom è bandido morto”) al governatore dello stato di Rio Witzel (all’indomani dell’elezione riassunse la sua politica di pubblica sicurezza dicendo “la polizia mirerà alla testa e … bang”).
Ogni volta, restano solo le deboli voci dei militanti dei diritti umani a provare a sostenere una diversa verità, che i morti sono stati vittima di esecuzioni sommarie, di una polizia impreparata e essa stessa vittima di un ruolo di repressione affidatole da uno stato incapace di spezzare una spirale in cui morti chiamano sempre più morti.
Il retaggio di un passato che è ancora presente
Su tutto impera un retaggio culturale, del paese che per ultimo nel mondo occidentale ha abolito la schiavitù, nel 1888 (nota di colore, la Lei Aurea fu firmata dalla reggente Princesa Isabel, perché il padre, l’Imperatore Dom Pedro II si trovava a Milano, alloggiato al Grand Hotel Et de Milan di Via Manzoni, in uno dei suoi lunghi viaggi in Europa). L’ha abolita dicendo agli schiavi liberati “andate, siete liberi”, ma senza mai affrontare in modo strutturato il tema della loro integrazione. Un processo lungo e doloroso che – per fare un esempio simile – negli Stati Uniti è passato per anni di leggi segregazioniste, decenni di lotte a tratti violente per i diritti civili, che hanno visto sorgere (e purtroppo cadere) leader diventati simbolo dell’emancipazione, Martin Luther King in testa.
Ecco, per comprendere una delle ragioni del periodico verificarsi di queste esplosioni di violenza è sufficiente pensare che il Brasile – che nei secoli passati fu approdo di schiavi deportati in catene dall’Africa in misura cinque volte superiore agli USA – non ha mai conosciuto un movimento di emancipazione dei neri, o che Salvador – capitale del popoloso stato della Bahia, la più grande città nera fuori dal continente africano – in cinque secoli di storia non ha mai avuto un sindaco di colore.
Fatti che avvengono anche in pieno giorno
E ciò spiega anche come in metropoli ipermoderne come San Paolo, in un giorno di novembre del 2021, capiti che un passante documenti filmandola una scena che riporta appunto al passato schiavista del paese. Ne dà notizia Revista Forum (https://revistaforum.com.br), giornale online progressista, un poliziotto trascina un giovane di colore appena arrestato, ammanettato al portapacchi della moto.
Una forma di supplizio (l’infelice è costretto a correre per non cadere ed essere così trascinato, a rischio di subire gravi lesioni) che riporta direttamente a un tipo di tortura cui erano sottoposti gli schiavi (unica differenza, allora venivano legati a un cavallo). L’articolo è disponibile qui, porta la data del 1° dicembre 2021, e riferisce che il giudice non ha ravvisato alcuna illegalità nel comportamento dell’agente di polizia.
Questo accadeva in pieno giorno, in una affollata avenida, sotto gli occhi di migliaia di automobilisti e passanti. E spiega più di ponderosi saggi che cosa avviene lontano da occhi indiscreti, nelle stradine di una favela o di un quartiere periferico, magari in ore notturne, nelle operazioni di polizia che abbiamo descritto in apertura. Questo, anche questo, è il Brasile del terzo millennio.
(nella foto Reprodução/TV Globo, tratta da Revista Forum, poliziotti fermano un giovane durante un’operazione di routine in un quartiere popolare di Rio)