Strani giorniItalia Viva, il 13% e i problemi con la matematica di base

Non sono mai stato bravo in matematica, anche se ho sempre cercato di studiarla (seppur con risultati modesti). Ragion per cui dopo il liceo scientifico ho optato per lo studio delle Lettere, con risultati ben più entusiasmanti. Ciò nonostante, la matematica di base non è per me un universo sconosciuto. Cosa che invece sembra ignorare l’intero gruppo dirigente di Italia Viva, che dopo le elezioni suppletive di ieri a Roma, sta pubblicando sui social – per mezzo del leader e dei big di partito – entusiastiche dichiarazioni. «Italia Viva vale il 13%, chi vive di sondaggi non vale niente» esulta Matteo Renzi su Twitter. Può anche essere vero che chi vive di sondaggi non vale niente, ma qui entra in ballo quella matematica di base con cui chiunque fa i conti – mi si perdoni la battuta – prima o poi nella vita.

A votare, alle elezioni che hanno visto l’elezione di Cecilia D’Elia (del Partito democratico) erano chiamate ben 185.000 persone. Il candidato di Italia Viva ha raccolto 2.698 preferenze. Il dato davvero preoccupante è stato quello dell’affluenza e del relativo astensionismo. Quest’ultimo ha sfiorato il 90%. Al netto di trionfalismi di facciata, la classe politica dovrebbe interrogarsi, in primis, su questa débâcle della partecipazione attiva. Di fronte a questo disastro, i tweet e gli stati trionfanti su neanche tremila voti raccolti lasciano non poche perplessità. Se avesse votato tutto l’elettorato avente diritto, un partito con il 2% avrebbe raccolto qualcosa come 3.700 preferenze. Qui siamo di ben mille unità sotto. Quindi, de facto, sotto quanto accreditato a Italia Viva da tutti i sondaggi.

«Ma non è tutto» fa notare Giulio Cavalli in un suo articolo su TPI, «il candidato di Italia Viva era appoggiato anche da Azione di Calenda e a strascico da +Europa che con Calenda si è federata pochi giorni fa. Ma non è finita qui: alle elezioni non ha partecipato il Movimento 5 Stelle». Insomma, il quadro del voto di ieri non è certo indicativo di quello che è il sentimento elettorale italiano. O, a buon titolo, il Pd potrebbe dichiarare trionfalmente di aver raccolto un consenso pari al 60%. E questa lettura fa scivolare il “successo” del partito renziano ben sotto la soglia su cui è inchiodato, da che è nato, dagli istituti demoscopici. Però non si può non dare ragione a chi dice «e meno male che eravamo quelli del 2%». La stima, infatti, andrebbe rivista. E tragicamente al ribasso.

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