Il sempre “cavaliere” era salito in sella trottando impavido e veloce verso una candidatura clamorosa e fattibile (almeno dal quarto scrutinio) verso il colle più alto, ma Berlusconi dimentica – per fortuna o purtroppo a seconda dei punti di vista – che non siamo alla fine degli anni ‘90 ma nel 2022, il che non è secondario. E infatti l’operazione scoiattolo non sta portando ghiande a sufficienza, del resto non può sfuggire allo stesso Berlusconi l’attrito del tempo trascorso e forse vengono i rimorsi per aver più volte sparigliato le carte anche all’interno del suo stesso schieramento con l’affossamento dei vari delfini (ricordate il quid dato e tolto a Fini, Casini, Toti, Alfano?) tutti ritenuti o inadeguati di fronte a lui e contemporaneamente vittime del suo stesso ego ipertrofico. Si parlò, con una battuta, di infanticidio politico e i risultati si vedono in questa fase osservando l’imbarazzo (di Salvini e Meloni) di non poter esplicitamente dire al proprio capo “scusi presidente ma non è il caso di presentarsi”. Verrebbe da dire che se Berlusconi è divisivo, lo è paradossalmente dentro il centrodestra e non fuori (non fosse altro che in diverse fasi del paese, al centrosinistra i voti di Forza Italia non hanno poi fatto così schifo) pertanto bisognerebbe affrontare un tema lasciato in foglio bianco di questi anni ovvero se ci sia bisogno di un centrodestra realmente emancipato dal suo fondatore
Detto ciò, questo tempo di pandemia ha frantumato definitivamente l’algebra politica precedente – non a caso governa Mario Draghi. Quindi è chiaro ai cittadini l’urgenza di non tornare a vecchie logiche ipocrite di un tempo. Figurarsi poi se ci possiamo permettere, con tutto il rispetto per il leader di Forza Italia, un ritorno allo scontro (finto) esiziale e manicheo tra berlusconiani e non. Il paese – francamente – ha già dato su questo punto e ci rimangono a terra solo frantumi sociali (perdita progressiva del senso di cittadinanza) che economici (decrescita industriale, accumulo di debito pubblico, deficit progettuale e perdita di visione sul futuro dei giovani).
Abbiamo davanti un paese che, attraverso i suoi “grandi” elettori, chiede un presidente veramente adeguato alle sfide di oggi, che dal “Colle” guardi con estremo realismo ciò che accade a valle con buona pace dei cieli stellati delle ambizioni personali, pur legittime ma non condivisibili. Il prossimo “Settennato” è cruciale per l’Italia posta ad un bivio: o cogliere l’opportunità di riformare il paese, imporre una rigenerazione dei partiti, mettere a terra il PNRR oppure abbandonarsi ad un amaro default sistemico che ci inghiottirebbe con un solo boccone. Non mancano le figure moderate e di alto profilo che possono incarnare questo passaggio politico e istituzionale del paese ma il gioco dei summit di piccolo calibro sono un risiko ridicolo e urticante, una melina che non piace ai cittadini. Al contrario, le forze politiche devono (non possono) riunirsi per fare due semplici ma dannate cose: trovare il nome più autorevole per il Quirinale e gestire un paese in difficoltà titaniche. Se prevale la serietà, si aprirà lo spazio per una fase ricostituente. In caso contrario, attacchiamoci al tram della Troika che verrà.