Notes da (ri)vedereBEA – Be a Media Company: l’impresa deve raccontarsi nell’era del Metaverso

Nella nuova epoca economica diventa fondamentale raccontare la propria impresa. È importante coinvolgere le persone per guardare oltre, al fine di prepararsi a un’evoluzione sempre più repentina, che esige velocità di adattamento e autenticità. Sono soltanto alcuni suggerimenti contenuti nel vademecum “Metacomunicazione” che BEA – Be a Media Company, fondata da Marco Bardazzi e Salvatore Ippolito a Gennaio 2021. La società, culla e riferimento della narrazione strategica d’impresa, a un anno dalla sua fondazione, per opera di Marco Bardazzi e Salvatore Ippolito, CEO e Co-Founder, giunge a ottenere diversi risultati durante questi primi dodici mesi di attività, aprendosi agli scenari futuri con consapevolezza e sguardo avanguardista.

BEA, alleato di organizzazioni e imprese per comunicare la propria identità

BEA, nata a Gennaio 2021, affianca aziende, istituzioni, organizzazioni e personaggi pubblici nella creazione di una narrazione efficace e autentica del proprio brand, attraverso la realizzazione di uno storytelling basato su piani editoriali di largo respiro, in un’epoca in cui a regnare sono il cambiamento repentino e la necessità di raccontarsi in maniera originale e innovativa. Nel decalogo redatto da BEA, che rappresenta un tentativo di analisi delle svolte in corso nel mondo del digitale e che vanta il contributo di professionisti dalla pluriennale esperienza in comunicazione, si fanno spazio parole il cui impiego è all’ordine del giorno, come Metaverso o NFT, ma che ancora costituiscono un importante interrogativo per le aziende che si apprestano a modificare la propria rotta comunicativa e per le realtà, come BEA, che la affiancano nel percorso. Con Salvatore Ippolito e Marco Bardazzi, cofondatori e CEO di BEA – Be a Media Company, cerchiamo di approfondire il ruolo del racconto che diventa preponderante in questa epoca economica, delineando un nuovo futuro delle imprese.

Come raccontare le proprie storie?

«Le storie sono, da sempre, la modalità più efficace con cui comunicare e lo saranno anche negli scenari futuri del metaverso o del Web3. Ma è essenziale sapere cosa e come raccontare. Per questo il processo per raccontarsi all’esterno per noi parte sempre da un lavoro interno sull’identità profonda dell’azienda, sui suoi valori, la mission, il purpose per cui si fa business. Occorre individuare a chi raccontare le storie, quindi quali sono le audience di riferimento, gli stakeholder a cui è opportuno rivolgersi. Fatti questi “compiti a casa” si può partire con il racconto. Qui il segreto è scegliere storie credibili, autentiche, possibilmente storie di persone legate alla vita dell’azienda. Il contenuto, in questo caso, è più importante del contenitore. Una bella storia è l’ingrediente fondamentale, decidere dove raccontarla e come diffonderla viene dopo. E la prevalenza in ogni caso va data alle piattaforme “owned”, quelle su cui si può costruire un percorso di narrazione strategica di lungo periodo, guidato da un piano editoriale».

Qual è il ruolo del brand nell’economia italiana?

«È un ruolo essenziale, i brand sono i veri testimonial del made in Italy. Non è un caso che tra i primi 50 brand al mondo, come valore finanziario o reputazionale, ci siano sempre 4-5 marchi italiani: pensiamo a Ferrari, Barilla, Ferrero, Pirelli e tutto il mondo della moda (per quanto molti brand del settore fashion siano ormai italiani come identità, ma sotto il controllo di realtà straniere). Ma il primo brand che dobbiamo sempre tenere in mente e promuovere è il “brand Italia”, con tutto ciò che si porta dietro nell’immaginario globale. Su questo, c’è molta strada ancora da fare. È anche importante considerare che i brand sono oggi oggetto di una fiducia, da parte dei consumatori e della società in generale, superiore al passato. Negli ultimi due anni il “barometro” con cui Edelmann misura il livello di “trust” da parte dell’opinione pubblica ci dice che c’è più fiducia nel mondo del business che in governi, media e organizzazioni non governative. Questo credito che hanno le aziende, per le competenze che hanno sviluppato, va speso in modo oculato anche sul piano reputazionale. E anche in questo caso la migliore pubblicità è sapersi raccontare».

Le imprese quando raccontano coinvolgono le persone. Quale strategia è più consigliata per entrare nel cuore dei potenziali clienti?

«La prima e più importante strategia è essere autenticamente sé stessi. Partendo da qui si possono creare molteplici modalità di ingaggio che devono puntare soprattutto a costruire e coltivare una community intorno a un brand o un’azienda. Occorre raggiungere un’audience che sia interessata al messaggio che si vuole mandare e ingaggiarla con storie autentiche, emozionanti, che abbiano un legame con le passioni di chi le riceve e che mobilitino verso una condivisione agli altri, una “advocacy” a favore di un prodotto o di un brand».

Francesco Fravolini

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