Il libro
La natura polifonica della società peruviana, fatta di incredibile ricchezza culturale, emerge in questa selezione di sedici storie. Nati tra gli anni Settanta e gli anni Ottanta, questi autori raccolgono e fanno propria la straordinaria miscela di voci e culture tipica del paese andino, ma la costante degli scrittori di questa antologia anche quella di essere tutti, con rare eccezioni, migranti o figli di migranti, “passeggeri permanenti”, capaci di “riconoscersi come parte della propria comunità e allo stesso tempo del mondo”, divenendo quindi simbolo e riflesso della crescente affermazione del fenomeno migratorio. E così, facendo tesoro anche dei percorsi di vita che li hanno portati lontano dalla loro terra, una lontananza che ha permesso loro di “prendere posizione e affermare la propria scrittura”, si confrontano con molte altre realtà: ciò che ne deriva sono racconti dalla trama solida e dalla tecnica versatile, dove l’approccio individuale viene superato dalla volontà di narrare storie, trasmettendo e condividendo esperienze.
La mia lettura
Lejos è un’opera collettiva, gli autori di questi bellissimi sedici racconti sono:
Nell’accurata introduzione di Maria Cristina Secci “Il nodo della cuentística peruviana: sulla lontananza, lo spagnolo e la trasformazione” troviamo il filo che collega le storie e chi le ha scritte, è un approfondimento straordinario che ci introduce al “quipu (“nodo” in quechua) che nella cultura preincaica e incaica, è un sistema di cordicelle su cui vengono annodati significanti.”
Per me Lejos è stata una esperienza di grande valore, mi ha spinta ad approfondire non solo la tradizione letteraria peruviana ma anche gli autori e le autrici dei racconti di questo libro.
“ La maggioranza dei narratori di questa antologia risiedono fuori dal Perù: Claudia Ulloa Donoso abita a Bodø, in Norvegia, Jennifer Thorndike da dieci anni vive negli Stati Uniti, Carlos Yushimito ci ha vissuto per undici anni e ora risiede in Cile. “Ho vissuto in Germania, ora vivo a Buenos Aires”, dice Katya Adaui. Francisco Ángeles sta a Philadelphia, Santiago Roncagliolo dice di essersi spostato da una parte all’altra e di essere diventato “ovunque, uno straniero”. Per Claudia Salazar Jiménez, che risiede a New York da sedici anni, la condizione di straniera è una decisione di vita che le permette di vedere il Perù e gli Stati Uniti con una certa distanza critica, “ma anche con un particolare affetto che chiamerei ‘affetto del traduttore’, intendendo la traduzione come un ponte non solo tra lingue ma anche tra culture”. Il movimento migratorio ha portato alcuni di loro fino al vecchio continente, “in una Europa sempre più tribale, dove” – considera ancora Roncagliolo, autore di La selva – “è diventato più difficile essere uno straniero”.
Quello che mi sono chiesta io, leggendo questo libro, le parole di Maria Cristina Secci e poi i racconti, è: cosa genera il binomio letteratura-nazione? E ancora, la letteratura della “migrazione” è forse la nuova letteratura mondiale? Quella che rappresenta dei modelli culturali universali, capaci di raccontare uno “spazio altro” e di adoperare una lingua e un linguaggio che superano i confini e costruiscono un ponte virtuale che avvicina i luoghi d’origine ai luoghi d’accoglienza.
“Negli Stati Uniti stiamo assistendo a un nuovo fenomeno che è stato definito New Latino Boom, osserva Jennifer Thorndike”.
Mi sono sentita particolarmente coinvolta da questo tema e da quello che scrive Susanne Noltenius, il nostro vissuto dimostra che per migrare, per sentirsi migranti insomma, non si devono necessariamente superare i confini nazionali, è invece un’esperienza dell’animo che si può vivere anche nel proprio Paese. Io lo vivo ogni giorno dal momento in cui sono partita, andata via di casa.
Questi racconti hanno avuto un forte impatto emotivo su di me, mi domando spesso, come gli autori e le autrici di Lejos, a quale luogo appartengo davvero tra quelli in cui ho vissuto.
Qui non c’è solo la storia del Perù, c’è la storia del mondo, della sorte che tocca a tanti che vivono incessantemente vite differenti.
“Jack Martínez Arias, autore di Morte improvvisa, considera che tutto ciò che scrive sia attinente con quella scissione che sperimenta chi migra: “Quanto lasci il tuo paese, non c’è modo di tornare indietro. Anche se torni, non sarà più la stessa patria. E se decidi di stabilirti all’estero, quella non sarà mai la tua casa”.
“Villena Vega […] autrice di Un viaggio al Great Glen ritiene l’esperienza migratoria la trasformazione più difficile e costosa mai sperimentata: “Mi ha costretto a liberarmi dai giudizi e dalle certezze, a capire la complessità dell’essere umano”.
Scrittura quindi anche come strumento di conoscenza, scrittura come luogo di esilio reale e esilio interiore, Günter Silva Passuni affronta invece il legame tra lingua e potere e poi c’è la traduzione come “nuovo linguaggio”, come “forma essenziale di lettura”.
Mi è piaciuta molto Gabriela Wiener che per me esprime perfettamente una controcultura, ha una scrittura “fisica”, materica, il suo racconto, Dobsonfly è ipnotizzante:
“ Riaccendo la luce, leggo le bestialità che accadono a Pinocchio e sono felice di avere una vita un po’ migliore. Mi alzo, guardo dalla finestra un punto tra due alberi che si rivela essere un gatto. Alla fine mi decido a scuotere mia sorella e la avverto che nostra madre può essere morta. Lei piange. Riesco a farla diventare insonne, come me. Entrambe aspettiamo pregando, anche se non siamo battezzate, anche se non conosciamo tutta l’Ave Maria e nelle ore di religione vaghiamo da sole nel cortile della scuola contando nuvole informi. “
Una lettura “prismatica”, ricca, pregna di significati e stimoli e lasciatemelo dire così: “un libro pazzesco”!
“Non sapeva dove portarla e la portò sulla Luna. Lei accettò dubbiosa. “ Costellazione nostalgia di Juan Manuel Robles
Lejos. Sedici racconti dal Perù a cura di Maria Cristina Secci
Gran Via editore
Pp 296 Brossura € 16,00